Tassa sugli immobili: le scuole cattoliche dovranno pagarla


L’IMU mette in crisi le scuole cattoliche
da tuttoscuola.com – 26.11.2012

Il nuovo regolamento del Ministero dell’economia sulle attività no profit mette in crisi il mondo cattolico che vede colpite al cuore le sue scuole, costrette ad affrontare l’onere imprevisto dell’IMU.
Le norme prevedono che le strutture che accolgono scuole possano essere classificate come non commerciali (e quindi essere esenti da Imu) se offrono il servizio gratis, ma anche se garantiscono «un corrispettivo simbolico», che in questo caso non può essere superiore alla metà della media dei prezzi dei listini dei vicini.
La reazione del mondo cattolico è stata immediata e pesante.
Non può essere il criterio della gratuità del servizio quello che porta a stabilire se una scuola cattolica debba essere o meno sottoposta al pagamento dell'Imu” ha affermato ai microfoni della Radio Vaticana il presidente dell'Associazione Gestori Istituti Dipendenti dall'Autorità Ecclesiastica (Agidae), padre Francesco Ciccimarra.
Nessuna scuola - spiega - è gratuita, i docenti chi li paga? Con quali soldi?”. Il criterio dovrebbe essere la produzione o meno di utili. “Tutte le scuole cattoliche - sottolinea padre Ciccimarra - sono in fallimento, le chiuderemo in un anno, licenzieremo 200 mila persone, così tutti quanti saranno contenti”.
Secondo il presidente dell'Agidae, anche se “il Governo ha avocato a sé questo problema”, ciò non è sufficiente a tranquillizzare la situazione. “Una cosa così - dice - ci distrugge tutti. Io giro l'Italia per fare contratti di solidarietà, con riduzioni dello stipendio del 25 per cento. Questa sarà la fine delle opere cattoliche in Italia”.
Sarebbe interessante capire qual è il maggior gettito che lo Stato si attende, per poterlo confrontare con il maggior onere che lo Stato stesso potrebbe dover sopportare per organizzare il servizio agli studenti delle scuole private che dovessero chiudere (stimabile in circa 7 mila euro a studente).

 

 

Imu: emanato il regolamento sulle esenzioni al non profit

Avvenire   24 novembre 2012

 

La lunga vicenda dell'Imu per le proprietà immobiliari degli enti non profit è a un passo dalla conclusione definitiva. Il governo, infatti, ha pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il Decreto 19 novembre 2012 n. 200 che contiene il regolamento sulle esenzioni per gli immobili utilizzati dagli enti, chiarendo i casi nei quali l'attività può essere considerata "non commerciale" e come procedere al calcolo dell'imposta quando l'immobile è adibito a uso misto fra attività commerciale e no. Il regolamento – che tiene conto delle definizioni del diritto comunitario e recepisce alcune osservazioni espresse dal Consiglio di Stato, senza però assumerne integralmente la visione, che si sarebbe rivelata esiziale per il Terzo settore, in particolare non è stata accolta la tesi dell’irrilevanza del "senza fine di lucro" – dovrebbe permettere la chiusura, entro breve, della procedura d’infrazione aperta (su sollecitazione dei Radicali italiani) dalla Commissione europea. Probabile poi l'emanazione di una successiva circolare applicativa per l'esplicazione definitiva di alcuni aspetti pratici.
Le definizioni. Il testo chiarisce anzitutto (art. 1) le attività interessate (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, di culto) e riporta la definizione delle «modalità non commerciali: modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro che», si sottolinea, «conformemente al diritto dell'Unione Europea, per loro natura non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà». All'articolo 3 quindi definisce i requisiti generali per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali e, confermando princìpi del nostro ordinamento, precisa quanto devono contenere gli atti costitutivi o gli statuti degli enti, come il divieto di distribuire gli utili, l'obbligo di reinvestire gli eventuali avanzi di gestione nelle stesse attività e l'obbligo, in caso di scioglimento, di devolvere il patrimonio dell'ente a un altro ente non commerciale che svolga attività analoga.
Gli ulteriori requisiti per sanità, alberghi, circoli, attività sportive. Ma è in particolare l'articolo 4 a definire le nuove caratteristiche in base alle quali l'attività può essere definita "non commerciale". Per le attività sanitarie sono considerate tali quelle delle strutture convenzionate e che quindi come servizio pubblico vengono erogate gratuitamente (o con il solo pagamento dei ticket previsti dalle leggi), mentre per le strutture «non convenzionate» sono da ritenersi non commerciali solo «le attività svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e comunque non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con il costo effettivo del servizio». Queste ultime due previsioni (gratuito o simbolico, non superiore alla metà della media di mercato) riguardano anche le attività ricettive, culturali, ricreative e sportive.
Le scuole. Diverso il caso delle attività didattiche. Per le scuole, infatti, è previsto anzitutto che siano paritarie, non vi siano discriminazioni in fase di accettazione degli alunni, vengano accolti i portatori di handicap, le strutture siano adeguate e il personale docente e non docente sia contrattualizzato. Inoltre, «l'attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con lo stesso». Si tratta del punto certamente più delicato del regolamento, perché gli istituti paritari già oggi non arrivano sempre a coprire i costi d'esercizio con le rette. E se quest'ultime dovessero essere pari a zero o meramente simboliche per continuare a godere dell'esenzione Imu, la loro sopravvivenza sarebbe a rischio. C'è da osservare, però, che l'aggettivo «simbolico» (che recepisce un'indicazione del diritto europeo) va correlato alla coordinata «e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo». Quale frazione, fino a quale entità? Questo resta da chiarire.
Le utilizzazioni miste. Come calcolare l'imposta quando l'immobile viene usato sia per attività commerciali non commerciali? Il regolamento all'articolo 5 prevede tre criteri. Il primo, e prioritario, riguarda lo spazio: va calcolata la superficie della porzione di immobili adibita a uso commerciale, sulla quale pagare il dovuto. La seconda è in base «al numero dei soggetti nei confronti dei quali le attività sono svolte con modalità commerciali, rapportato al numero complessivo dei soggetti nei confronti dei quali è svolta l'attività». La terza guarda invece ai giorni nei quali viene svolta attività commerciale. Da notare che fino ad ora valeva il principio che una porzione di immobile adibita ad attività commerciale rendeva non più esente l’intero immobile.
Il regolamento prevede infine che gli enti non commerciali presentino una dichiarazione specificando gli immobili per i quali è dovuta l'Imu ed eventualmente adeguino i loro statuti, secondo i criteri prima esposti, entro l'anno.

 
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