Rapporto CENSIS: giovani che non studiano nè lavorano


 Tuttoscuola  -  Censis 2010/1. Basterà 'tornare a desiderare'?

Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”. Con il suggerimento di questa terapia si conclude la diagnosi sull’attuale condizione della società italiana contenuta nelle ‘considerazioni generali’ che costituiscono, come di consueto, la premessa e la chiave interpretativa degli annuali rapporti del Censis.

C’è da chiedersi se sia infine venuta meno la tradizionale fiducia del Censis e del suo mentore Giuseppe De Rita nella vitalità innovativa della società civile, da sempre contrapposta all’inerzia conservatrice delle burocrazie e dei grandi apparati.

Il 44° rapporto sulla situazione sociale del Paese sembra andare in questa direzione, come mostra anche la scelta delle citazioni d’effetto, che non mancano mai nell’immaginifico linguaggio del presidente del Censis: dalla ‘stella danzante’ di Nietzsche dei tempi in cui un ottimista De Rita esaltava la creatività del sociale versus l’istituzionale si passa all’heideggeriano ‘il deserto che cresce’ che simboleggia il panorama piatto e deprimente di una società di ‘appagati’.

Ciò malgrado, tuttavia, la reazione a questo stato di cose non può venire, secondo il Censis, dall’alto: da una classe politica ferma alle parole, né da apparati pubblici “oggi più portati alla loro disarticolazione che allo sforzo di elaborare adeguati dispositivi di governo”. Ancora una volta, in realtà, occorre partire dal basso, dagli individui, che devono ricominciare a proiettarsi in avanti, a “desiderare”, ma in modo autonomo e originale, senza farsi condizionare dalla “offerta continuata” propria del tardo capitalismo, che è all’origine sia dell’insoddisfazione sia della sensazione di appagamento.

Tradotta nella dimensione della politica scolastica questa indicazione strategica di De Rita significa che non è dalle riforme né dall’azione del Ministero che può arrivare la svolta, ma dall’autonoma riscoperta dell’innovazione da parte delle scuole e degli insegnanti. Basterà?

 

Tuttoscuola  -  Quei 2,2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano

Un altro dato che colpisce in questo 44° rapporto è che circa 2.242.000 giovani italiani tra i 15 e i 34 anni non studiano, non hanno un lavoro e nemmeno lo cercano, come dimostra il fatto che nei primi due trimestri del 2010 si è registrato un calo degli occupati tra 15 e 34 anni del 5,9%, a fronte di una riduzione media dello 0,9%.

A soccorrere questa massa di inoccupati sono le famiglie, sicuramente il principale ammortizzatore sociale del Paese. Ma

 quali sono le cause del fenomeno? Il rapporto riporta i risultati di un’inchiesta secondo la quale il 57,8% dei giovani che non fanno nulla è convinto che i coetanei non trovino lavoro perché rifiutano occupazioni faticose e di scarso prestigio.

C’è anche da chiedersi, tuttavia, quanto incida sul fenomeno la grave sconnessione (mismatch) tra i risultati del sistema formativo, per numero e tipologie di diplomi e lauree, e i fabbisogni del mondo del lavoro, che vanno in direzione diversa.

A questa problematica, e alla necessità di un più efficace orientamento, la Confindustria nazionale ha dedicato grande attenzione e impegno con le iniziative nazionali e territoriali di ‘Orientagiovani’. Ma è la Lombardia, la regione italiana industrialmente più sviluppata, a soffrire di più per la carenza di giovani diplomati negli indirizzi tecnici. Per questo la Confindustria lombarda ha deciso di promuovere progetti di orientamento destinati non solo agli alunni di terza media ma anche ai loro compagni di prima e seconda, e perfino ai bambini di quarta e quinta classe primaria, nonché la costituzione di un sito, www.teknicamente.it, che raccoglie una ampia documentazione ed esperienze volte a supportare la scelta degli indirizzi tecnici dopo la licenza media.

Le iniziative sono state presentate la scorsa settimana in un convegno, svoltosi a Milano, durante il quale è emerso che nel 2010 alle imprese lombarde sono mancate ben 27.500 professionalità tecniche mentre, contemporaneamente, la disoccupazione giovanile nel primo trimestre del 2010 risultava del 25,4%.  In questo scenario si vive il paradosso dei giovani senza lavoro e delle imprese senza lavoratori.


Tuttoscuola  -   Se le famiglie partecipano di più alla spesa...

Tra le tante indagini riportate nel 44° rapporto del Censis ce n’è una che riguarda i contributi volontari versati dalle famiglie nella esauste casse delle scuole: “un’entrata sempre più fondamentale per le attività gestionali e didattiche delle scuole statali”.

Il 53,1% dei 1.099 dirigenti scolastici delle scuole statali di ogni ordine e grado interpellate dal Censis quest’anno ha infatti dichiarato di aver richiesto il contributo, e di queste il 25% lo ha aumentato rispetto all’anno precedente, mentre secondo dati del Miur riferiti al 2008 e riguardanti il 90% delle istituzioni scolastiche i contributi versati dai privati alle scuole hanno rappresentato in quell’anno il 14,7% del bilancio complessivo (escluse, ovviamente, le spese per il personale).

Le somme richieste dalle scuole a titolo di ‘contributo volontario’ aumentano con il crescere del livello scolastico: sono meno frequenti e meno consistenti a livello pre-scolare o di scuola dell’obbligo (solo il 34,7% delle scuole dell’infanzia lo richiede, nella modesta misura media di 16,4 euro, che salgono a 19,8 euro nella scuola secondaria di primo grado), mentre nelle scuole di secondo grado la richiesta è molto più diffusa (tra l’82 e il 90%) e supera mediamente gli 80 euro pro-capite, con oscillazioni fino ai 250 euro nei licei e negli istituti professionali.

Alla richiesta delle scuole ha aderito l’82,7% dei genitori, una percentuale indubbiamente elevata (ma il rapporto non offre dati disaggregati per tipologia di scuola e area geografica, che forse rivelerebbero squilibri di una certa consistenza).

Anche i finanziamenti provenienti da soggetti privati esterni all’istituto scolastico sono in aumento (il fenomeno riguarda il 36,4% delle scuole): si tratta soprattutto di donazioni, ma non mancano sponsorizzazioni e contributi per spazi pubblicitari.

L’ormai consistente e crescente ricorso delle scuole statali a finanziamenti integrativi di quelli ministeriali non è peraltro solo un segno di grave carenza strutturale del finanziamento pubblico. In molti casi tali risorse vengono utilizzate per il miglioramento dell’offerta formativa, e sono accompagnate da un maggior interesse dei contributori per come sono impiegate. Molto interessante è il dato che nell’8,4% delle scuole che richiedono il contributo questo sia utilizzato anche per istituire borse di studio volte a premiare le eccellenze.

 
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