ScuolaEuropa/OCSE PISA 2015: le competenze dei 15enni


Ocse-Pisa 2015, Italia al palo: studiamo più degli altri ma andiamo peggio a scuola.  I dati del rapporto Ocse-Pisa 2015 sulle competenze dei 15 enni. Meglio in matematica che in italiano e scienze. Le difficoltà delle ragazze, il divario Nord-Sud, il «vizietto» di marinare la scuola, le tante bocciature

6 dicembre 2016  -   Corriere della Sera  -  di Gianna Fregonara e Orsola Riva

1. Singapore al top nelle scienze. Italia penultima davanti alla Grecia

Ci risiamo. Anche dall’ultimo rapporto Ocse-Pisa sulle competenze dei quindicenni di mezzo mondo nelle scienze, in lettura e in matematica (540 mila studenti di 72 diversi Paesi ed economie), l’Italia esce con le ossa rotte nel confronto non tanto e non solo con le solite tigri asiatiche che svettano a distanze siderali (Singapore in testa con 556 punti contro i 481 dei nostri ragazzi), ma anche con i nostri vicini di casa europei e, al di là dell’Oceano, pure con gli Stati Uniti e soprattutto il Canada, al quinto posto in assoluto con i suoi 528 punti, dietro a Giappone, Estonia e Finlandia. Mentre nella penultima edizione, incentrata sulla matematica, avevamo recuperato parecchie posizioni, in questa che era puntata sulle scienze (e per la prima volta è stata eseguita dai ragazzi al computer), fatichiamo a restare a galla. Gli studenti italiani di seconda superiore sono staccati di parecchie leghe da inglesi, tedeschi e francesi, sorpassati da spagnoli e portoghesi: solo la Grecia ci salva dall’umiliazione della maglia nera. E le beffa è che studiamo molto più degli altri: 50 ore in media (fra scuola e soprattutto compiti a casa quando non ripetizioni private) contro le 36 ore dei finlandesi dei miracoli e le 41 degli sgobboni giapponesi. E nonostante ciò andiamo molto peggio degli altri.

Nessun miglioramento significativo nel corso di un decennio (appena 6 punti in più dalla prima rilevazione del 2006) con, al contrario, un significativo peggioramento nell’ultimo triennio (meno 13 punti). Nella patria di Galileo, il metodo empirico del «provando e riprovando» fatica a farsi strada: complice forse il peso della tradizione idealistica rispetto al positivismo di marca anglosassone, e più prosaicamente anche la cronica mancanza di laboratori scolastici. Il risultato medio degli studenti italiani è 50 punti sotto i finlandesi dei miracoli (l’equivalente di un anno e mezzo di scuola), una trentina dagli inglesi e dai tedeschi, 20 dai portoghesi, 15 dai francesi, 10 dagli spagnoli. Il Portogallo è protagonista di una vistosa rimonta scolastica. E comunque il trend è di quasi immobilità: abbiamo recuperato appena due punti.

2. Sorpresa: andiamo peggio in italiano che in matematica

Le cose non vanno affatto meglio nella lettura. Anche qui non ci muoviamo di mezzo punto e siamo fissi sotto la media Ocse. Anzi: siamo scesi di 5 posizioni dall’edizione scorsa e nel lungo periodo, cioè nei 15 anni intercorsi dalla prima rilevazione del 2000, abbiamo perso due punti. Mentre a sorpresa è proprio nella matematica che abbiamo fatto i maggiori progressi - anche grazie al potenziamento del curriculum dei nuovi licei e forse anche al fatto che ormai la metà dei ragazzi opta per lo scientifico, nella versione classica o in quella con l’informatica al posto del latino - tanto da collocarci al livello degli altri Paesi Ocse con un punteggio di 490. Appena la sufficienza: peggio di noi fanno solo spagnoli e greci. Ma almeno qui le distanze dagli altri europei si accorciano: i francesi sono tre punti sopra, gli inglesi appena due, gli americani sono sotto di venti. E comunque il trend è positivo: più 5 punti dal 2012 (più 24 dal 2003).

3. Super-bravi contro semi-analfabeti

Drammatica è la percentuale di ragazzi sotto la soglia minima di competenze: parliamo di giovani condannati a condizioni di semi analfabetismo in un mondo sempre più permeato dalle nuove tecnologie e dalle scoperte scientifiche. Il 23,4 per cento dei quindicenni italiani, quasi un ragazzo su quattro, non possiede le nozioni di base né tanto meno è in grado di immaginare un procedimento o elaborare un modello scientifico. Ma in realtà, per quanto preoccupante, il dato sui cosiddetti «low achievers» è più in linea con la media Ocse (21,2 per cento) di quello sui «top performers». Sulle eccellenze l’Italia accusa un ritardo particolarmente significativo visto che siamo fermi al 4,1 per cento contro una media Ocse quasi doppia (7,7). Lo stesso vale nella lettura: un ragazzo su 5 è sotto la soglia della sufficienza(21 per cento), cioè non è in grado di comprendere un testo complesso o di mettere insieme informazioni provenienti da fonti diverse. Una condizione che contraddice la missione stessa della scuola di formare dei cittadini consapevoli. Quanto ai super bravi, vanno cercati col binocolo: parliamo di uno striminzito 5,7 per cento contro l’8,4 della media Ocse. In matematica sono quasi il doppio (10,5 per cento); un dato di cui ci si potrebbe rallegrare se non fosse che i «low achievers» restano decisamente troppi: quasi uno su quattro come nelle scienze.

4. La sconfitta delle ragazze

Un discorso a parte, non meno drammatico, va fatto sullo svantaggio culturale delle ragazze. Mentre nella maggior parte dei Paesi Ocse il gap nelle scienze è stato in gran parte recuperato negli ultimi anni, l’Italia è uno dei pochissimi Stati (gli altri due sono Austria e Costa Rica) dove il divario negli ultimi dieci anni si è addirittura aggravato passando da 3 a 17 punti (il doppio della media Ocse che è di otto punti). Un dislivello che si fa ancora più netto se ci si concentra solo sulle eccellenze: in Italia due «top performers» su tre sono maschi. Mentre cioè gli studenti scarsi sono più o meno in percentuale uguale fra ragazzi e ragazze (21,5 per cento dei maschi contro il 24,9 per cento delle femmine), i super bravi sono molti di più fra i maschi: 5,3 per cento contro uno striminzito 2,8 per cento.  Indietro nelle scienze e ancor di più in matematica (dove il divario è addirittura di 20 punti), le studentesse italiane negli ultimi anni hanno anche assistito all’erosione del loro storico vantaggio nella lettura (passato da 46 a 16 punti). A pesare sembrano essere soprattutto i condizionamenti culturali, duri a morire: quelli che, quand’anche una ragazza sceglie una prospettiva di carriera in ambito scientifico, la indirizzano verso le scienze della vita, in particolare medicina, o semmai verso biologia, mentre i maschi propendono senza esitazioni per ingegneria e per le nuove tecnologie, oltre che per le scienze dure come la fisica e la chimica.

5. Dalle elementari alle medie, anello debole della scuola

Questa divaricazione nelle prospettive di studio e carriera risale a quell’età fragile che è la prima adolescenza, cioè alle medie. È proprio in questo tratto di scuola che si cristallizza la forbice maschi-femmine in matematica e scienze: mentre infatti negli altri Paesi le ragazze sono alla pari con i compagni in matematica e addirittura davanti di 10 punti in scienze (si veda l’ultimo rapporto Timms), in Italia le ragazze restano indietro di 7 punti in matematica e di 10 in scienze. In generale un po’ in tutti i Paesi è proprio nel passaggio dalle elementari alle medie che si assiste, sia fra maschi che fra le femmine, a un crollo del gradimento per lo studio di queste materie: mentre il 92 per cento dei bambini di quarta elementare dice che gli piace molto studiare scienze, alle medie solo il 77 per cento si diverte contro un 23 per cento che dice che non gli piacciono. E per la matematica è anche peggio. Alle elementari piace all’82 per cento dei bambini contro un 18 per cento di scettici. Alle medie un ragazzino su due la detesta: i ragazzi e soprattutto le ragazze smettono di divertirsi, iniziano ad angosciarsi. E con il piacere crolla anche la fiducia in sé stessi.

6. I ragazzi si vedono «scienziati» ma trovano la scienza noiosa

Una delle domande principali, forse la prima, a cui ogni curriculum dovrebbe rispondere, è perché si studiano le scienze. Secondo il rapporto Ocse, l’atteggiamento dei professori è rivolto di più a formare possibili ingeneri, medici, biologi e altri «scienziati» che a diffondere una competenza, quella scientifica, che serve nella vita di ogni giorno, una lingua con cui i ragazzi e poi gli adulti possano interpretare qualsiasi fenomeno, dal riscaldamento globale alla dieta corretta. Anche per questo i professori italiani tendono a privilegiare un approccio teorico. E molto nozionistico, che punta più a soddisfare le aspirazioni di carriera futura, universitaria e lavorativa, che non l’apprendimento di un metodo scientifico, competenza che è invece molto più sviluppata nei sistemi con curriculum anglosassone. Si rivolgono dunque soprattutto a quanti sono già motivati da progetti futuri e anche da una predisposizione personale che non all’intero mondo degli studenti. L’idea di una carriera scientifica in genere piace molto ed è anche una delle motivazioni che animano gli studenti che risultano più bravi: un quindicenne su quattro si vede a trent’anni impegnato in un’attività che va dall’ingegneria, all’informatica e alla ricerca o alla medicina. Come anche per la matematica sono più i ragazzi (25 per cento) che le ragazze (20 per cento) a immaginarsi in questa veste, una tendenza che le relega al di sotto delle aspettative delle loro coetanee degli altri Paesi Ocse: il 23,9 per cento vuole puntare le proprie carte sulla scienza. Sebbene sia vero che il divertimento nell’apprendimento delle scienze porti i ragazzi (soprattutto) ma anche le ragazze a cercare più opportunità per studiare le scienze, non è vero il contrario: non è offrendo «soltanto» più opportunità di apprendimento che gli studenti si appassionano allo studio. Così come, secondo il rapporto Ocse, sebbene l’uso dei laboratori sia importante chi fa la differenza sono ancora una volta gli insegnanti e la loro preparazione sia nella materia che nelle tecniche di insegnamento. In giro per il mondo sono due su tre gli studenti che si spingono a dichiarare il loro interesse per le scienze ma in Italia tra la precedente rilevazione Ocse (2006) e quella che è stata appena pubblicata la passione per le materie scientifiche è scesa di un buon 10 per cento.

7. La Lombardia tra Singapore e la Campania

Se la media italiana è quello che è rispetto agli altri Paesi europei e ai sistemi scolastici migliori, a pesare sono soprattutto le enormi differenze territoriali tra Nord e Sud: la scuola italiana non è riuscita a colmare questo divario storico. Nella rilevazione Ocse-Pisa 2015 non ci sono più i dati di tutte le regioni, che si possono però vedere dal rapporto Invalsi 2016. Anche nei dati forniti dall’Ocse però ci sono due regioni campione: la Lombardia e la Campania i cui dati molto dicono sulle differenze e sulle sfide per la scuola italiana. In entrambe le regioni dal 2012 ad oggi i risultati sono peggiori e non di poco: la Lombardia ha perso 16 punti in lettura (521-505), nove punti in matematica (517-508), più di venti punti in tre anni in scienze (529-503) eppure oggi è comunque al livello di Svizzera e Irlanda, proprio a metà strada tra Singapore (556 punti) e la Campania che non supera i 445 punti (nel 2012 era a 457). In termini di studio si tratta di un ritardo medio enorme tra Campania e Lombardia, equivalente a due anni scolastici. Non solo: un quarto degli studenti lombardi arrivano ad ottenere gli stessi risultati in scienze dei loro compagni del Sud Est asiatico, mentre in Campania non superano il 10 per cento. Continuando con i numeri: in lettura il divario tra Singapore e Lombardia è di 30 punti (505-535) mentre tra Lombardia e Campania è di 50 (505-455), lo stesso per la matematica (564 Singapore, 508 Lombardia e 456 Campania). In Lombardia tra tutti gli studenti uno su cinque è tra i migliori almeno in una materia. In Campania neppure il 7 per cento.

8. L’esercito «disperso»: poveri e immigrati

Oltre a segnalare una sostanziale staticità del sistema scolastico, con pochi miglioramenti nel lungo periodo, il rapporto Ocse-Pisa 2015 mette in rilievo anche una delle principali fragilità del sistema scolastico: la scuola ormai da tempo non è più un «ascensore sociale», cioè chi proviene da famiglie socio-culturalmente svantaggiate ha molte meno probabilità di chi ha un background anche economicamente migliore di riuscita. Anzi ha il triplo di possibilità di fallire. Se si considera che il 20 per cento dei quindicenni è fuori dal sistema scolastico, nel restante 80 per cento che costituisce il campione Ocse, quasi uno studente su quattro non arriva al risultato minimo di competenze al di sopra dell’analfabetismo moderno: e la maggior parte di questi studenti partono da una situazione di svantaggio sociale che non riescono a colmare, non solo per «colpa» loro ma perché finiscono in scuole con meno risorse o professori meno preparati senza programmi di accompagnamento del percorso scolastico che potrebbero fare la differenza. Solo uno su quattro di questi ragazzi ce la fa: siamo sotto la media Ocse e i risultati degli altri Paesi europei.

9. La sfida degli immigrati

Anche i ragazzi immigrati, di prima o seconda generazione cioè nati e scolarizzati dall’inizio in Italia, costituiscono uno degli anelli deboli del sistema scolastico. Il 40 per cento circa degli studenti immigrati rischia di essere tra i meno bravi a scuola, i cosiddetti «low performers». In assenza di vere e proprie politiche a loro dedicate, rischiano più spesso dei loro coetanei bocciature o addii prematuri alla scuola. Tuttavia il rapporto Ocse ci tiene a precisare che sul lungo periodo lo svantaggio tende a ridursi: negli ultimi 10 anni la percentuale di immigrati nelle scuole superiori è raddoppiata (passando dal 4 all’8 per cento) mentre contemporaneamente il gap con i compagni italiani si è ridotto di 32 punti. Dall’altro lato, però, sono aumentati i ragazzi immigrati i cui genitori sono poco scolarizzati.

10. Come migliorare: puntare sulla qualità degli insegnanti

Come si può riuscire a migliorare il sistema scolastico? Gli analisti dell’Ocse-Pisa suggeriscono anche alcuni spunti. Innanzitutto la maggior spesa non sempre serve: o meglio, ben vengano i fondi ma bisogna essere molto selettivi nella scelta degli obiettivi. Per l’Italia è necessario agire in modo approfondito per stemperare quegli stereotipi di genere, tra genitori, insegnanti e opinion leader che finiscono per influenzare ancora in modo molto forte le scelte scolastiche delle ragazze. Ma il ruolo centrale nel sistema scolastico resta quello degli insegnanti: un corpo docenti preparato e aggiornato è cruciale per la qualità della scuola, come insegna il modello d Singapore: formazione di qualità e continua, ottimi stipendi, premi ai migliori. Le attività collaterali e aggiuntive, a partire dai laboratori servono ma non sono sufficienti senza insegnanti capaci, ben selezionati e formati.

11. La sindrome di Pinocchio ovvero il vizietto di marinare la scuola

Ma c’è ancora un altro dato, più sociologico ma non per questo meno inquietante, che pesa sui pessimi risultati dei nostri ragazzi: la loro propensione a marinare la scuola. Un topos letterario per noi italiani, si veda la fuga di Pinocchio nel Paese dei balocchi con quel che ne consegue, orecchie d’asino e così via. Ogni regione lo dice a modo suo, basta leggere la Treccani: fare filone, fare forca, bigiare, fare sega... Ma in questo caso la ricchezza linguistica si sposa con la povertà culturale. Non che questo vizietto non ci sia anche negli altri Paesi, ma da noi è molto più pronunciato. In media nei Paesi Ocse uno studente su 5 confessa di aver marinato la scuola nelle due settimane precedenti il test Pisa. Nel caso degli italiani la percentuale esplode, diventando fenomeno di massa: più di un ragazzo su due (il 55 per cento) infatti bigia la scuola. E la tendenza negli ultimi anni sta peggiorando. Con effetti purtroppo drammatici.

I ragazzi che saltano la scuola tendono infatti ad avere risultati peggiori di 31 punti rispetto ai loro compagni più diligenti: parliamo dell’equivalente di un anno di scuola. Ma come, basta bigiare un giorno per perdere un anno? Naturalmente no: ma la tendenza a saltare la scuola, soprattutto quando c’è un’interrogazione o un compito in classe in vista, segnala più che un eccesso di furbizia, una tendenza a evitare l’ostacolo, un’incapacità di affrontare le sfide che, questa sì, sul lungo periodo danneggia gravemente il rendimento scolastico. Non a caso l’Italia ha un alto tasso di bocciati (quasi uno studente su dieci) e di abbandoni (15 per cento) perché le assenze da scuola sono l’anticamera della ripetenza e anche della dispersione scolastica.

 

Per approfondire 

http://www.invalsi.it/invalsi/ri/pisa2015.php?page=pisa2015_it_04

https://www.oecd.org/pisa/

 

 

 

 
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