Pellegatta: Indroduzione al convegno


 

Introduzione  -  prof. Roberto Pellegatta  -  presidente nazionale

 

 

La scuola che vogliamo: un’impresa sociale ed una comunità di apprendimento

 

1.  Benvenuti.  Con il convegno di questi giorni la nostra vicenda associativa compie 15 anni.

Nel primo incontro nazionale del marzo 1992 a Rimini del primo nucleo di presidi che poi partecipò nel marzo 2001 a fondare DiSAL ci domandavamo “per quale scuola lavoriamo”, ci confrontavamo sul senso e sulle principali problematiche del dirigere una scuola.

Da allora nei convegni che sono seguiti abbiamo approfondito le principali problematiche della nostra professione e della scuola italiana, dalla qualità all’autonomia, dai curricoli alla valutazione, dal governo della scuola alle sue riforme, sempre riflettendo sui nostri compiti di direzione e sempre muovendo dal desiderio di sfondare gli sbarramenti dell'istituzione,  con la speranza che l'istituzione stessa possa favorire la domanda personale di verità di noi che ci lavoriamo e la domanda educativa che i ragazzi si portano a scuola. 

 

2.  Con il tempo che passa sono sempre più convinto che dalla serietà umana e dalla preparazione culturale di chi dirige dipende moltissimo della vita di una scuola. Un tempo non condividevo questa valutazione, portato com’ero a dare più importanza ai gravi vincoli dentro i quali esercitiamo il nostro lavoro.  Ora quei vincoli li conosco ancora di più, ma capisco sempre più che invece è così, vedendo le notevoli differenze (in bene e in male) che si vengono a creare nelle scuole col tempo con i cambiamento di presidenza, o solo incontrando le diverse realtà di scuola in Italia.

La scuola è cultura che si fa comunicazione e la cultura è soprattutto senso, significato della realtà. Dirigere una scuola, assumerne la responsabilità è saper comunicare il valore di quello che si sta facendo, anche focalizzare questo aspetto in ogni scelta, come richiamo continuo al senso complessivo ed all’orizzonte ultimo dell’impresa formativa, spesso dentro realtà sorde a questi richiami.

 

3. Il tema scelto quest’anno “Dirigere scuole come imprese sociali e comunità di apprendimento” vuole indicare  due elementi che riteniamo fortemente innovativi per uno sviluppo moderno del sistema scolastico italiano.

La situazione scolastica che stiamo vivendo è per molti versi drammatica: non a caso, dopo l’appello del 2005 Se ci fosse un’educazione del popolo tutti starebbero meglio”ora tutti riconoscono  che la nostra società è attraversata da una grande emergenza educativa, che si manifestata attraverso fatti clamorosi e fenomeni di mal di scuola, che ci hanno coinvolto tutti.

Questi episodi enfatizzati dai mass media hanno confermato in modo “drammatico”  la necessità di rimettere  al centro del dibattito l’urgenza di “investire” nell'educazione di un popolo e dei suoi giovani. Ma, come si diceva con alcuni questa mattina, sui grandi principi siamo tutti d’accordo: è sulle scelte concrete e quotidiane che le differenze nella scuola diventano o occasione di incontro, laddove c’è buon senso, o fattore di contrasto quando non di conflitto.

Non dimentichiamo che il nemico ancora oggi nella scuola, come già sosteneva Alexis Carrel nelle sue “Riflessioni sulla condotta della vita” è il prevalere dell’ideologia, dello schema intellettuale, sull’osservazione, sull’attenzione alla realtà.

Resistono (e i più autorevole editorialisti o studiosi ce lo ricordano) nella scuola italiana pesi, macigni spesso, pregiudizi, debolezze che pesano per un incontro di buon senso: il centralismo che non tramonta, un laicismo ottuso fermo alle battaglie stato-chiesa dell’800, un sindacalismo che ha perso di vista il proprio compito e che ha collaborato a far cresce l’irresponsabilità nella scuola, la crisi della famiglia, il venir meno di luoghi educativi fuori della scuola.

 

4. A noi interessa vivere con pienezza il nostro lavoro, quindi la nostra umanità, quindi il luogo quotidiano. DiSAL è nata da questo desiderio da condividere, perché esperienze di scuola diventino possibili.  Ma per far questo occorrono ambienti positivi, dove la diversità non diventi sistematicamente conflitto.  Una scuola simile ha bisogno di un punto di riferimento, di qualcuno che si prenda carico di mantenere la rotta o di modificarla, con un occhio attento a ciò che accade e con una passione reale per la crescita di tutti.  Entra qui in gioco la responsabilità di una direzione di scuola che sappia valorizzare, indicare e vigilare sulle condizioni di libertà e serietà delle proposte fatte ai discenti, ricercando alleanze con tutte le positive esperienze educative esterne.   Buona parte delle norme, però, fino al recente contratto scuola ed ai sussulti periodici di riforma, hanno marginalizzato una simile funzione, a  beneficio di strapoteri  amministrativi e sindacali.   A questo ha collaborato anche una specie di auto-marginalizzazione alla quale i dirigenti scolastici si sono rassegnati, limitandosi talvolta solo alla passiva resistenza verso l’invadenza di quei poteri forti. Penso in questo a molti collegi docenti del primo anno di attuazione della riforma Moratti.

Nella nostra professione occorre guardarsi dalle due tendenze diffuse, comunque nei casi migliori: oculati e zelanti amministratori dell’apparato oppure attivisti tecnocrati e un poco megalomani dell’innovazione fine a sè stessa.

Invece autorevoli ricerche internazionali degli ultimi anni dimostrano come sia sempre più decisivo il rapporto tra direzione di scuola (leadership educativa), qualità e successo scolastico. Il rapporto OCDE 1994 sulla scuola stigmatizza che: “I fattori per la buona riuscita di una scuola ed il suo continuo miglioramento si riconducono a forti motivazioni ideali personali tra i docenti, ad un buon livello della funzione direttiva e ad un vivo rapporto con i referenti sociali esterni”. 

E J. Delors   sostiene che “La ricerca, non meno dell’osservazione empirica, mostra che il capo d’istituto è uno dei più importanti fattori, se non il principale, nel determinare l’efficienza della scuola. Un buon capo d’istituto che sia capace di stabilire un efficace lavoro di gruppo e che venga visto come competente e aperto, ottiene spesso importanti miglioramenti nella qualità della scuola”. 

La funzione direttiva può influire proprio sugli aspetti che caratterizzano l’ambiente scolastico, elemento decisivo del percorso formativo di uno studente. Infatti sosteneva già don Luigi Giussani  “oggi più che mai l’educatore  o il diseducatore sovrano è l’ambiente con tutte le sue forme espressive”.

 

5.  La prima specificità, dunque, di chi dirige una scuola che vuole essere comunità di apprendimento è dunque quella di favorire un “clima” scolastico positivo dove sia più facile aver di mira i bisogni reali dei ragazzi, più agevole per i docenti insegnare e per gli alunni apprendere.  Se non si crea questo clima, se c’è scontro ideologico o mancanza di stima reciproca, se prevale la polemica e lo scontro è impossibile realizzare una vera esperienza educativa, ed alla fine ogni lavoro didattico risulta inefficace.  Come può accadere questo “clima” ? 

Valorizzando e incentivando chi prende iniziativa, agevolando i compiti di ciascuno, richiamando in ogni decisione l’essenziale, così da favorire il crearsi di luoghi di confronto, in cui guardare con benevolenza e stima l’esperienza dell’altro, in cui cercare, magari con fatica, strade e risposte comuni alle esigenze dei ragazzi, costruire ipotesi di lavoro da sperimentare e verificare insieme.

 

 

6. L’altro corno del dibattito rimane il futuro dell’autonomia scolastica. Già a Pesaro nel 2005 DiSAL aveva messo a fuoco i gravi limiti che hanno “bloccato” l’autonomia nella scuola italiana.  E’ ben vero che essa ha introdotto un cambiamento di  visuale, introducendo pian piano la consapevolezza che è possibile superare l’idea di un modello rigido, di una struttura burocratica in cui ciascuno è bloccato dal “ruolo” che gli è assegnato e che, dunque, si può tentare di costruire un’opera comune, che ha una propria identità ed alla quale,  in qualche modo, si appartiene, perché la si fa insieme.

E’ oggi assodato che l'autonomia scolastica ed il decentramento territoriale possano essere gli assetti normativi all’interno dei quali meglio rischiare l’impresa educativa. Attraverso di essi la scuola si deve poter organizzare come vera e propria intrapresa, erogatrice di un bene sociale. Superato lo stereotipo ideologico con il quale l’immagine dell’impresa è entrata nella scuola, è interessante invece ora assumerla come opera dell’uomo per trasformare la realtà, per costruire qualcosa di bello e di buono per sé, per la propria famiglia, per la comunità locale e per il mondo. Infatti scopo dell’impresa è il bene, non il profitto. A maggior ragione quando quello che l’impresa offre è un bene, quali la cultura e la formazione, di cui la società ha drammaticamente bisogno.  Alla base di una scuola come impresa è dunque necessario un aspetto ideale, per non accontentarsi dei risultati raggiunti e tendere sempre ad un oltre. C’è quindi una “antropologia” dell’impresa, che scaturisce dalla natura e dal desiderio autentico di ogni uomo. 

7.  Nel preparare il convegno sono emerse domande che il nostro lavoro di questi giorni potrebbe perseguire come percorsi di ricerca. Quali sono gli elementi educativi costitutivi di un ambiente scolastico capace di formazione della persona e facilitante l’attività di apprendimento ?  A quali condizioni la relazione educativa produce apprendimento ?  Come ridare significato e valore ad adulti portatori di tradizione, di cultura, protagonisti responsabile dell’azione formativa, quindi portatore di un principio di autorevolezza ?

Che cosa significa svolgere una funzione regolativa, ordinativa di una realtà istituzionale come la scuola, avendo a cuore una fondamentale preoccupazione di educazione integrale delle persone ?

L’importanza dell’occasione del convegno di quest’anno è anche evidenziata anche dal vasto rinnovo della dirigenza scolastica statale, con l’ingresso nella scuola, dopo una tortuosa corsa ad ostacoli, di 3850 nuovi capi di istituto. Non a caso molti dei presenti sono proprio “neo-presidi”.

 

 

 

 
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