Commento di Giuseppe Mariani - 1°
maggio 2022 – Scacco del Ministero dell’Istruzione nella partita per fermare i ricorsi
al TAR contro il D.I.
n. 182/2020: ma il conflitto non si è concluso.
Sull’entrata in vigore del nuovo
modello di PEI la partita di scacchi fra il Ministero
dell’istruzione e la giustizia amministrativa ha segnato una nuova tappa,
questa volta a favore del Ministero.
Infatti, lo scorso 26 aprile il
Consiglio di Stato ha pubblicato la sentenza di accoglimento del ricorso
presentato dai Ministeri dell’Istruzione e delle Finanze contro la sentenza del
TAR Lazio che il 14 settembre 2021 aveva annullato il D.I. n. 182/2020.
Con l’annullamento della sentenza
del TAR, è tornato in vigore il decreto recante “Adozione del modello
nazionale di Piano educativo individualizzato e delle correlate Linee guida,
nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con
disabilità”.
Questo significa che le lancette
dell’orologio sono state riportate indietro di sette mesi e che sono tornati a nuova
vita i modelli di PEI e le connesse Linee guida?
Formalmente è così: ma la vicenda,
se è stata complicata nel passato, rischia di esserlo ancora di più nel futuro.
Per capire il significato della
sentenza del Consiglio di Stato occorre fare qualche passo indietro, ripartire
dalla delega contenuta nel decreto legislativo sulla disabilità, seguirne le
tappe attuative nonché il contenzioso che ne è scaturito e, infine, inquadrare
la reale portata della recente sentenza.
Il D.Lgs.
n. 66/2017 e l’intervento correttivo del D. Lgs. n. 99/2019
Tra le deleghe legislative
contenute nella legge n. 107/2015, una ha riguardato la “promozione
dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità e riconoscimento delle
differenti modalità di comunicazione”: la legge ne prefigurava principi e
criteri direttivi così che, in data 13 aprile 2017, la G.U. pubblicava il
decreto legislativo n. 66 “Norme per la promozione dell'inclusione
scolastica degli studenti con disabilità”.
Di tale decreto, tuttavia, veniva sostanzialmente
differita l’applicazione al 1° gennaio 2019 mentre, di fatto, il Ministero
tornava a riscriverlo: ne derivò il D. Lgs. 7 agosto 2019, n. 96, recante “Disposizioni
integrative e correttive al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66”.
Le nuove formulazioni hanno interessato, in misura
più o meno rilevante, la quasi totalità degli articoli di cui si componeva il
testo del 2017: alcune sono di natura formale, quale la sostituzione della
locuzione "disabilità certificata" con la dizione "accertata
condizione di disabilità ai fini dell’inclusione scolastica", quasi a
delimitare all'ambito scolastico i bisogni educativi speciali di cui sono
portatori tali alunni.
Altre modifiche invece sono state sostanziali, e fra
di esse ricordiamo:
> la separazione fra i compiti di assistenza per
l’autonomia e la comunicazione, affidata agli assistenti forniti dagli Enti
Territoriali e quelli di assistenza igienica e di base assegnati ai
collaboratori scolastici (art. 3, c. 4 e 5);
> la riscrittura della procedura di accertamento della condizione di disabilità in
età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica nonché del Profilo di
funzionamento (art. 5);
> il maggior dettaglio nelle indicazioni della
procedura per la elaborazione del PEI (art. 7);
> la regolazione delle funzioni e della
composizione del Gruppo di lavoro operativo (GLO);
> il ridimensionamento e la nuova definizione
delle competenze del Gruppo per l'inclusione territoriale (GIT) (art. 9, c. 4
sgg.);
> l'istituzione dei Centri territoriali di supporto (CTS) quali
istituzioni scolastiche di riferimento per la consulenza, formazione,
collegamento e monitoraggio a supporto dei processi di inclusione (art. 9, c.
2-bis);
Nella modifica dell’art. 7 del testo
originario, fu disposto l’inserimento del comma 2-ter, con il quale il
Ministero dell’Istruzione, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle
Finanze, era delegato ad emanare un decreto finalizzato ad indicare “le
modalità (…) per l'assegnazione delle misure di sostegno di cui al
presente articolo e il modello di PEI, da adottare da parte delle
istituzioni scolastiche”: in sostanza, un decreto di natura tecnica con le
disposizioni attuative di competenza delle scuole.
Il decreto
interministeriale n. 182/2020 e il suo annullamento
Il decreto interministeriale è
stato emanato dopo più di un anno, il 29 dicembre 2020 (D.I.
n. 182), rubricato “Adozione del modello nazionale di piano educativo
individualizzato e delle correlate linee guida, nonché modalità di assegnazione
delle misure di sostegno agli alunni con disabilità”.
Sembrò che tale provvedimento fosse l’atto conclusivo di un iter normativo
che, partendo dalla legge 104/1992 e dai decreti attuativi delle deleghe
contenute nella legge 107, avrebbe fornito alle scuole gli strumenti aggiornati
per assicurare l’inclusione degli alunni con disabilità certificata: ossia Linee
guida e modelli di PEI.
Così non è stato, in quanto, a seguito dei ricorsi presentati da una
serie di associazioni operanti nel campo della disabilità, in data 14 settembre
2021 il Tribunale amministrativo del Lazio dispose l’annullamento del D.I. n.
182/2020 e degli atti connessi, eccependo che:
1) il decreto interministeriale, dati i suoi
caratteri della generalità, dell’astrattezza e dell’innovatività, fosse
sostanzialmente un atto normativo e non un atto di amministrazione, e che
fosse quindi un Regolamento, per la cui emanazione è però prevista la complessa
procedura di cui all’art. 17 della legge n. 400/1988;
2) le prescrizioni ivi contenute (soprattutto nelle
Linee guida) andassero ben oltre il perimetro delle deleghe predeterminate
per legge.
Il
ricorso al Consiglio di Stato e le indicazioni transitorie del Ministero
A fronte del vuoto normativo che veniva così a crearsi, il Ministero dell’istruzione
e il Ministero dell'Economia
e delle Finanze presentavano ricorso al Consiglio di Stato, chiedendo
l’annullamento della sentenza del TAR.
C’era comunque la necessità di assicurare continuità all’azione
educativa e didattica a favore degli alunni con disabilità. Con nota n. 2044
del 17 settembre 2021, il Ministero dell’Istruzione ricordava la vigenza della
normativa di legge, in particolare il D. Lgs. n. 66/2017 e il n. 96/2019, e rinviava
alla modulistica già in uso, invitando le scuole a non operare in conflitto con
le censure indicate nella sentenza, censure che riguardavano:
a) la composizione del GLO: non limitando il numero degli esperti
indicati dalla famiglia, anche retribuiti dalla stessa;
b) la frequenza scolastica: non autorizzando riduzioni d’orario in
assenza di possibilità di recuperare le ore perdute;
c) l’esonero da una o più discipline di studio: non autorizzando esoneri
contemplati per i soli studenti con DSA e solo per le lingue straniere;
d) l’assegnazione delle risorse professionali per il sostegno e
l’assistenza: non applicando i criteri previsti dall’art. 18 del D.I.
La sentenza del Consiglio di Stato
pubblicata il 26 aprile 2022
La sentenza di merito del Consiglio
di Stato nel ricorso presentato dai due Ministeri (Istruzione e Finanze) è
stata pubblicata il 26 aprile e ha comportato, come sopra anticipato,
l’annullamento della precedente sentenza del TAR Lazio dello scorso settembre.
Occorre analizzare le motivazioni
alla base di tale decisione, in quanto dalla loro comprensione si può
inquadrarne la reale portata e trarre le previsioni sul percorso da seguire per
dare attuazione alle misure di sostegno al diritto allo studio previste dai
decreti legislativi e dal decreto interministeriale sopra richiamati.
Tali motivazioni attengono a due
ordini di valutazione.
1) il D.I. 182 non è atto
regolamentare ma atto amministrativo generale
L’argomentazione del Consiglio di
Stato è rivolta anzitutto a dimostrare (punto 2.4 sgg.) l’erroneità della qualificazione di Regolamento attribuita al
decreto interministeriale n. 182 nella sentenza del TAR del Lazio.
Punto di riferimento è la sentenza
della Corte Costituzionale n. 278 del 22 luglio 2010, nella quale si afferma
che:
> si ha un Regolamento quando la
potestà affidata all’amministrazione comporta la produzione di “norme
generali e astratte”, mediante le quali “si disciplinano i rapporti
giuridici, conformi alla previsione normativa, che possano sorgere nel corso
del tempo”;
> si ha, invece, un atto
amministrativo generale quando la potestà “esprime una scelta di carattere
essenzialmente tecnico, con cui l’amministrazione persegue la cura degli
interessi pubblici a essa affidati dalla legge”.
Premesso altresì che la scelta se
adottare una legge oppure un atto amministrativo per disciplinare una data
materia rientra nella discrezionalità del legislatore, il Consiglio di Stato
conclude che “L’atto in questione [D.I. n. 182] presenta valenza generale
per la ampiezza organizzativa includente anche temi di possibile rilevanza di
talune specificità rispetto alle altre. La indubbia rilevanza di tali
specificità non vale a stabilire una natura innovativa nell’ordinamento
giuridico, giacché non vengono in siffatta organizzazione richiamati
nuovamente per la soluzione dei problemi, i principi introduttivi della
disciplina in questione, ma, per l’appunto le esigenze organizzative della
pubblica amministrazione.”
2) È impugnabile l’atto
amministrativo idoneo a ledere interessi concreti
Un secondo ordine di valutazioni
discende dalla funzione stessa della giurisdizione amministrativa, volta non a
“trasmodare in un controllo oggettivo sulla legittimità dell’atto generale“
bensì ad accertare “la sussistenza di una lesione concreta ed attuale
della situazione soggettiva dell’interessato che determini, a sua volta, la
sussistenza di un interesse attuale all’impugnazione”.
Secondo il Consiglio di Stato, la
sentenza del TAR del Lazio avrebbe quindi svolto la funzione impropria di
controllo oggettivo sulla legittimità dell’atto generale, in assenza della
dimostrazione di lesioni concrete e attuali di interessi legittimi,
travalicando di conseguenza il perimetro designato dall’art. 7 del Codice del processo
amministrativo (D. Lgs. n. 104/2010).
Quali prospettive si aprono dopo la
sentenza del Consiglio di Stato
Dalla disamina sopra effettuata
appare chiaro che la sentenza del Consiglio di Stato non è entrata nel
merito delle criticità evidenziate nella precedente sentenza del TAR del Lazio,
ma si è soffermata sulle due questioni preliminari sopra esposte (natura
giuridica del D.I. n. 182 e limiti all’esercizio della giurisdizione
amministrativa).
Le conseguenze sono che:
> torna il vigore il D.I. n.
182, con annessi i modelli di PEI e le Linee guida;
> decade la nota ministeriale n°
2044/2021 che aveva dettato le norme transitorie per l’a.s. 2021/22.
Rimangono, però, aperti gli
interrogativi sulla legittimità delle formulazioni del D.I. n. 182 sopra
richiamate (composizione
del GLO, possibilità di frequenza scolastica con orario ridotto, possibilità di
esonero da una o più discipline di studio per gli studenti con disabilità, criteri
di assegnazione delle risorse professionali per il sostegno e l’assistenza).
Il Consiglio di Stato afferma che
solo a seguito di specifici provvedimenti applicativi da parte delle
istituzioni scolastiche sarà possibile verificarne la legittimità in sede di
ricorso amministrativo.
Occorre, cioè, che insorgano
specifiche controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi, ad esempio a seguito di
provvedimenti del dirigente scolastico (in merito, ad esempio, alla
composizione del GLO o all’assegnazione di ore di sostegno all’alunno con
disabilità certificata o al suo esonero da attività curriculari.
La conflittualità è differita alla
fase successiva a questa sentenza, quella attuale. Anzi, ne può ricavare
terreno di esponenziale propagazione: a meno che i Ministeri competenti
(Istruzione e Finanze) non rimettano mano al D.I. n. 182 (e alle connesse Linee guida)
riscrivendone le parti inficiate da evidenti travalicazioni di delega, così da
prevenire l’insorgere di ulteriore contenzioso in una materia tanto delicata
per il benessere scolastico di alunni e famiglie (e, aggiungiamo, per il
benessere professionale dei dirigenti scolastici).