Il preside: negli occhi di un’alunna lo scopo di un giorno di fatica


- Roberto Fraccia
C’era grande attesa per la riapertura delle scuole, anche per i presidi. Uno di loro ci racconta com’è stata questa giornata particolare
L’attesa è alta e anche la preoccupazione. È una preoccupazione comprensibilmente più intensa del solito. Da sempre  la preoccupazione e un poco di ansia interessa i “primini”, come si usano definire nel nostro Istituto gli alunni che vanno a cominciare la Primaria o la Secondaria di primo grado. Si è sempre trattato di una preoccupazione intensa dei genitori, per i futuri apprendimenti dei loro piccoli (o meno piccoli) e dei docenti per l’attesa della nuova classe assegnata e della possibilità di un nuovo inizio. O meglio dello sfidare un nuovo inizio come possibilità di mettere alla prova l’esperienza maturata e contemporaneamente avventurarsi in piccole o grandi novità, in funzione del coraggio didattico di ciascuno. 
Nella mia scuola, quest’anno, abbiamo prudentemente rinviato l’inizio dei “nuovi” a ogni livello a domani. Per cui si vedrà. Oggi, primo giorno, l’attesa riguardava proprio il ricominciare, anzi il riprendere a entrare nell’edificio, il muoversi all’interno, gestire gli spazi e finanche i bagni, come mai si era fatto. Tutto per il Covid.
La preparazione ha occupato molto del tempo a disposizione nelle due scorse settimane, quasi si trattasse di una “prima teatrale”: vietato steccare! Nessuno lo ha esplicitamente detto; personalmente mi sono guardato bene dal minacciarlo in una delle numerose circolari dispositive di questo inizio di settembre, ma è un sentimento sorto spontaneo e corale. La scuola è stata tanto caricata di responsabilità che è risultato difficile sottrarsi a un’ansia da prestazione. Dal giugno scorso, infatti, è cominciato il martellamento delle artiglierie di Ministero e Comitati vari che hanno disposto, contro-disposto, informato, consigliato, “preferibilmente ammesso” o “probabilmente vietato”, distanziato, avvicinato e alleggerito (anche l’edilizia; per la felicità degli operai edili … mestiere da sempre tra i più pesanti e faticosi!), fatto misurare, fatto rilevare e infine fatto autocertificare… 
Insomma, questa mattina la tensione si percepiva a pelle e l’aria era densa di elettricità: “ma guarda quelli non hanno capito nulla …!”. Questo rivolto ai colleghi che malgrado tutte le istruzioni si infilano con la loro classe dalla parte sbagliata. O ancora: “Abbiamo inviato a tutti i genitori il Patto di corresponsabilità educativa con l’autodichiarazione sullo stato di salute, senza cui non si entra, e questi arrivano senza!”. E lì sulle panche del portico di ingresso, rigorosamente distanziati, si vanno aggiungendo i poveri tapini di alunni (tipicamente pre-adolescenti) che del famoso documento asseriscono di non averne visto neppure l’ombra. Loro vabbè, ma mamma e papà?
Così cominciano a partire a raffica le telefonate alle famiglie, ovunque esse siano, per rimediare al grave inconveniente.
A me tocca una sgroppata in bicicletta ad accompagnare un’alunna, da sempre più bisognosa di tutti gli altri, la cui mamma non riesce a muoversi in autonomia. Si è trattato di un Patto stipulato “porta a porta”. Se si aggiunge che i genitori ai cancelli non hanno colto che non erano stati chiamati ad assistere a tutti i turni di ingresso, sapientemente pensati proprio per non creare assembramenti né dentro gli edifici, né sulla pubblica via e che, ripreso il mio posto in direzione mi trovo a dover rispondere a qualche genitore che desidera avere “la certificazione di idoneità del layout delle aule”, lo sconforto mi assale. Come un attore, o meglio il regista, che si accorge che il pezzo in scena non sta andando come doveva.
A quel punto mi risulta chiaro che urge riprendere le cose per il verso giusto, ricentrare sguardo e scopi di tutto l’impegno e di tutta la fatica. Mi aiuta ricordare gli occhi della ragazzina accompagnata a casa. Spalancati dietro le lenti degli occhiali mostravano tutto lo smarrimento per la mancanza in cui si era venuta a trovare. Incrociandoli avevo colto che accompagnarla non era forse tra le mie priorità della giornata, ma era il modo migliore per accoglierla il primo giorno di scuola.  Ecco, le priorità!
Sono passato, allora, in tutte le classi a condividere la ripresa della scuola, non (solo) con le disposizioni, ma semplicemente con un saluto e a ricevere, soprattuto dai più piccoli della Primaria, la freschezza di un sorriso e la gioia di esserci, anche con la mascherina.
Ecco qui mi accorgo che la “prima” è andata bene! Così bene che alle repliche mi è venuta voglia di invitare anche la Ministra: deve però venire accompagnata da un bel po’ di docenti, quelli che mi mancano. Non quelli promessi in più per tutta l’estate. Voglio quelli che mi servono per chiudere i tanti buchi nell’organico normale. Ne sarei proprio felice, perché la ragazzina degli occhiali ha bisogno della sua professoressa per evitare di ributtarla nello smarrimento. 
 
 
 
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