MondoVero/Inizia la scuola: l’amore e il dolore


Pubblichiamo due riflessioni in occasione dell’inizio della scuola. La prima indica una prospettiva positiva. La seconda, pur di una celebre scrittrice, rappresenta la classica lamentela che domina anche i ben intenzionati di fronte al progressivo degrado della scuola italiana. DiSAL sceglie la speranza e la positività del primo. (rp)
 
Nel mantello degli elfi il segreto dell’inizio
- Daniele Ferrari
Nell’ottavo capitolo della Compagnia dell’anello, di Tolkien c’è un episodio che rappresenta il viatico migliore per cominciare la scuola.  Nell’ottavo capitolo della Compagnia dell’anello, primo capitolo della celebre trilogia del Signore degli anelli, Frodo Baggins e i suoi amici sono ospitati nella foresta di Lothlórien dalla bellissima dama elfica Galadriel. La compagnia ha perso la sua guida, il saggio Gandalf, scomparso in un una voragine nelle miniere di Moria, nella disperata lotta contro una terribile creatura, un Balrog.
Prima di riprendere il loro viaggio verso Mordor per portare a termine quel compito che Frodo ha liberamente accettato come suo destino, distruggere l’anello, la compagnia riceve dagli elfi dei doni. Per ognuno un oggetto diverso, scelto a misura della loro persona, e per tutti, tra le altre cose, dei mantelli speciali, tessuti dalle stesse mani della dama Galadriel. Mantelli elfici, leggeri, resistenti, e dal colore cangiante. Stupiti per la loro mirabile fattura, i compagni chiedono spiegazioni agli elfi, scoprendo che quei mantelli sono di tutti i colori della foresta in cui si trovano: “Foglia e ramo, acqua e pietra; hanno il colore e lo splendore di tutto ciò che ci circonda, immerso nel crepuscolo della nostra Lórien adorata. In ogni cosa che facciamo, noi infondiamo le immagini di tutto quel che amiamo” (cap. VIII, addio a Lórien).
“In ogni cosa che facciamo, noi infondiamo le immagini di tutto ciò che amiamo”: è questa la frase con cui saluterò i miei alunni, il primo giorno di scuola. Offrire alla memoria delle parole che, nella loro brevità, possano contenere una sorta di chiave per spalancare e affrontare l’immenso ignoto della scuola, è uno dei tanti conforti che la letteratura sa dare all’uomo di ogni tempo. Anche perché i significati che la letteratura ci offre si arricchiscono con l’esperienza di chi la fa sua.
Così, pensando all’anno che sta per iniziare, questa frase ha per me almeno due grandi ammonimenti (uso la parola ammonimento secondo quelle radici che la legano alla memoria, che istituisce un nesso tra il passato e il futuro, e a monumento, un’opera che ricorda ed esorta allo stesso tempo): il primo è che la molla di ogni sapere è l’amore. In tutto ciò che faremo (lezioni, compiti, verifiche, interrogazioni) emergerà inevitabilmente il sentimento profondo che abbiamo nei confronti della vita; rendersene conto è una grande possibilità per crescere nella coscienza di ciò che amiamo, di ciò che desideriamo, e soprattutto di quello che già abbiamo (D.F. Wallace ci domanda: “di cosa parliamo, quando parliamo d’amore?”). Nessuna pedagogia, per quanto utile e raffinata sia, potrà mai suscitare l’interesse per la conoscenza quanto lo scoprire che nelle cose che abbiamo tra le mani c’è dentro “l’immagine di ciò che ama” chi quella cosa l’ha fatta. Scoprirlo, come diceva McCarthy in Non è un paese per vecchi, fa venir fuori una “promessa dentro il cuore”.
Il secondo ammonimento è che dentro l’esperienza dell’amore c’è sempre anche quella del dolore. Penso a tutte le situazioni, scolastiche e non, in cui il cammino della conoscenza è stato anche cammino nel dolore (fallimenti, delusioni, perdite). E il dolore spesso, a scuola come nella vita, è nascosto, compresso, a volte eluso o peggio, ridotto a “disturbo”. Invece il dolore non solo è parte (inevitabile) dell’esperienza, ma è anche un grande segno: segno (e pegno) della natura “di bisogno” che ognuno di noi è, segno (e pegno) dell’imprevedibilità del cammino che attende ognuno, segno (e pegno) della misura sconfinata dell’amore che proviamo per le cose che amiamo.
La Compagnia dell’anello riprende la sua marcia, incerta sul cammino che la attende e dolente per la mancanza di Gandalf, ma rinfrancata da quella sosta che li ha rivestiti di splendidi mantelli elfici.
Buon anno a tutti.
 
Intervista a Susanna Tamaro - Perché la squola va bocciata
Panorama  -  1/09/2019  - di Maurizio Caverzan
La scuola italiana è agonizzante, ha perso per strada l'ambizione di formare i giovani e di creare la classe dirigente del futuro. E un Paese che non si occupa dell'educazione dei ragazzi è un Paese perdente. Nel pamphlet Alzare lo sguardo. Il diritto di crescere, il dovere di educare appena pubblicato da Solferino l'autrice di Va' dove ti porta il cuore scrive a una professoressa 52 anni dopo la «lettera» di don Lorenzo Milani, denunciando le storture di un sistema arrivato a fine corsa.
E propone di costruire un patto tra generazioni per capire di quale sapere abbiamo bisogno nel Terzo millennio e come tornare a comunicare ai bambini l'amore per le domande e per la ricerca delle risposte che contano. Che cosa l'ha spinta a scrivere un pamphlet sulla scuola? Vedere il degrado che negli ultimi decenni ha invaso tutti gli ambiti dell'insegnamento. E vedere i ragazzi che escono dalle superiori senza una preparazione adeguata.
Dopo cinque anni vengono congedati con un diploma che ha scarsissimo potere contrattuale nel mondo del lavoro.
«Alzare lo sguardo» da che cosa, da dove? Da un'idea d'istruzione che ha dimenticato il concetto di educare. Un concetto complesso, com'è complesso l'essere umano. Che non è una somma matematica di elementi, ma un'entità in possesso di un'anima che si interroga sui perché della vita. Il corpo insegnante è la categoria più mortificata della nostra società? Assolutamente. È una categoria di martiri ed eroi. Conosco insegnanti straordinari che continuano ad amare la loro professione. Ma sono costretti a lottare contro una burocrazia allucinante, contro l'invadenza dei genitori e dei gruppi di mamme su WhatsApp, contro il disprezzo sociale ed economico derivato da regole d'ingaggio folli.
Professori che cambiano continuamente sedi, mansioni, metodi d'insegnamento. Gli effetti di questa situazione sono l'ignoranza dei nostri ragazzi, vere vittime di questo fallimento.
Per questo ha scritto una «lettera a una professoressa» 52 anni dopo quella di don Milani? A suo tempo mi aveva colpito e dopo averla riletta, insieme con alcune cose interessanti, ne ho trovate altre più discutibili. Perciò ho pensato di proporre un aggiornamento, sfruttando lo spunto di una professoressa che mi ha scritto raccontandomi che all'inizio di ogni scolastico regala a tutti i suoi alunni una copia di Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke. Questi sono gli esempi positivi su cui si regge la scuola oggi. Ma la generosità alla lunga non può bastare.
Una delle regole della scuola di Barbiana era non bocciare. Poteva avere un senso negli anni Sessanta. Oggi la soluzione non è bocciare, ma far sì che le superiori diventino un corso di studi vero anziché un parcheggio a tempo determinato. Negli anni si è creata una divisione per cui solo i licei sono scuole di serie A. Invece chi frequenta gli istituti tecnici o professionali non ha meno dignità. Conseguire il diploma in modo automatico, senza doversi impegnare, è fuorviante. Non abitua i ragazzi a raggiungere il risultato attraverso il lavoro e la dedizione. In un Paese come la Germania gli istituti tecnici perseguono l'eccellenza nel loro settore, da noi si fatica a trovare chi svolga lavori tecnico-manuali.
Danneggia maggiormente gli studenti la demotivazione dei professori o la struttura scolastica oppressiva? Una struttura malata che umilia gli insegnanti. Molti professori si spengono nel tentativo di sopravvivere in un mondo che li priva della forza di fare il loro lavoro. Li vedo vagare con zainetti pieni di cane. Nella scuola di oggi il vecchio nozionismo si accompagna a un eccesso di democrazia nel rapporto con gli studenti. È una miscela micidiale, a causa della quale oggi chi esce dal liceo o dall'università spesso parla un italiano povero, non sa far di conto, non ama la letteratura...
Perché la scuola-azienda è meno efficiente di quando era solo un posto dove si imparava? Questo è il grande paradosso. La burocrazia soffoca il rapporto educativo. Gli studenti sono clienti da accontentare e convincere a colpi di «open day». Perciò non si può bocciare, altrimenti le iscrizioni calano e, alla lunga, ogni singolo istituto, in competizione con altri più permissivi, rischia la chiusura. Si sente ripetere che dobbiamo «migliorare l'offerta formativa». Così c'è chi propone una settimana di tedesco al pomeriggio - come se si potesse imparare il tedesco in una settimana - chi il corso di cha cha cha degli anni Sessanta... Tutto fumo negli occhi delle famiglie.
Eppure ogni nuovo governo promette una nuova riforma. Perché ogni ministro vuole distinguersi. Invece di aggiungerli, l'ultimo governo ha tagliato quattro miliardi. Una delle ultime riforme è stata la riduzione del corso di laurea a tre anni. Con il risultato che poi bisogna fare il master e che fino a trent'anni non si entra nel mondo del lavoro. L'alternativa è andare all'estero.
Accennava all'invadenza dei genitori e ai gruppi di WhatsApp: perché l'alleanza tra famiglia e scuola si è dissolta? Tutto è iniziato negli anni Settanta con i decreti delegati che hanno dato più potere alle famiglie. Anziché fare squadra con gli insegnanti, i genitori proteggono i figli dalla scuola: guai se incontrano qualche difficoltà, qualche ostacolo da superare. I papà-spazzaneve spianano la strada davanti ai loro bambini perché abbiano la discesa facile. E l'anticamera del nichilismo, che alleva senza educare.
Questo accade perché il bambino è un essere intoccabile che non ha bisogno di essere indirizzato? Questa concezione deriva dall’Emilio, il testo sull'educazione nel quale Jean-Jacques Rousseau sosteneva che l'uomo è naturalmente buono e portato al bene. Un testo che ha fatto danni tremendi. Per questa cultura ogni accenno di disciplina va eliminato e la stessa idea di ordine è considerata deleteria. Il bambino non è un essere in fieri che ha bisogno di sostegno come avviene per i cuccioli in tutte le specie animali, ma è un essere puro e già sapiente.
L'abolizione della maestra unica ha dimenticato che nell'infanzia il processo di apprendimento ha una componente affettiva? Quello è stato il primo disastro. L'introduzione delle tre maestre ha favorito il passaggio dall'educazione all'istruzione a un'età troppo precoce. Troppi referenti danneggiano l'apprendimento che invece si giova di un rapporto stabile e continuativo. Il frazionamento delle figure educative genera insicurezza. Dopo la scuola-azienda con le tre i - inglese, impresa, informatica è arrivata «la buona scuola».
L'alternanza scuola-lavoro che è stata introdotta è un'esperienza positiva perché mette alla prova su ciò che si vuole fare. Gli stage permettono di capire se il lavoro che si ha in mente piace e se si è adatti a svolgerlo. In Germania si è sempre fatto.
Soluzioni? Basterebbe cominciare a mettere i professori nelle condizioni d'insegnare con passione la propria materia, senza costringerli a disperdere energie in mille corsi di aggiornamento, contro il bullismo... Qualcuno pensa che la soluzione siano i tablet e gli smartphone. O la lavagna interattiva. Non scherziamo.
Una riverniciata digitale e tutto va a posto? Il nostro cervello risponde a precisi processi di conoscenza. Si studia sulla carta, si sottolinea, si fanno piccole note sul libro. Il tablet porta a una smaterializzazione del sapere che non aiuta, soprattutto nei primi anni di vita.
Se avesse carta bianca quali sarebbero i suoi primi tre interventi? Rimetterei la maestra unica al centro della scuola elementare, estrometterei i genitori e riporterei l'università a quattro anni, abolendo corsi e master post laurea.  Le pare possibile che una maestra di scuola materna debba avere la laurea magistrale quinquennale?
Una delle cause di questa situazione è l'eliminazione del principio di autorità? Certo. È il frutto di un'ideologia nichilista e della società liquida e liquefatta. Anzi, gassosa. Dare ai bambini il potere decisionale è un errore grave perché trasmette loro un'idea distorta della realtà e non li prepara alla vita.
 
 
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