Lettera aperta DiSAL ai Dirigenti Scolastici


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Associazione professionale dirigenti scuole statali e paritarie - Ente qualificato dal MIUR alla formazione

 

 

Ai Dirigenti scolastici

 

Cara/o collega,

 

 

      Un ‘maggio dei presidi’, quello che stiamo vivendo, nel quale le annunciate azioni sindacali di protesta raccolgono un disagio forte e diffuso, causato:

-                da un oggettivo carico di responsabilità ed incombenze in ambito amministrativo (gestione appalti, amministrazione trasparente, anticorruzione, piani di formazione e reti di ambito da governare, ecc.) accumulatesi negli anni a cominciare dalla assimilazione alla figura del ‘datore di lavoro',

-                da un irrazionale dimensionamento scolastico, inesistente in Europa, che ha ricondotto in pochi anni circa 14.000 istituti preesistenti  alle 8.000 scuole attuali,

-                da un improprio utilizzo dell’istituto della reggenza che ha avuto un aumento esponenziale e che nel 2018 giungerà al  50% degli istituti scolastici italiani,

-                dalla mancanza di una retribuzione adeguata ai carichi di lavoro, di una equità retributiva interna alla categoria e dall’inspiegabile protrarsi del rinnovo contrattuale,

-                dalla gestione della sicurezza che, come evidenziato dai recenti casi giudiziari, espone il preside a responsabilità penali considerevoli

-                dall’avvio del procedimento della valutazione dei dirigenti scolastici, che andrà seguito con attenzione per evidenziarne punti di forza e di criticità.   

 

La rabbia è inevitabile in chiunque svolga con dedizione ed intelligenza questa professione per il fatto che non è riconosciuto il proprio impegno di lavoro svolto con responsabilità e senso di servizio alla collettività. Un lavoro impegnativo, difficile, carico di rischi e, per questo, nobile e meritevole di riconoscimento, anche economico.

 

       Ma dove affondano veramente le proprie radici il disagio e il malcontento?

Dal veder snaturata sempre più negli anni la funzione per la quale ciascun preside si è assunto il rischio di dirigere una scuola: quella di prendersi cura di chi è in formazione, di dedicarsi a sviluppare spazi di libertà di insegnamento, di realizzare strumenti di progettualità condivisa, di tentare un protagonismo professionale mirato a rendere le scuole comunità di apprendimento, luoghi di vita, ambienti di cultura. Cioè dal veder che una vera leadership educativa delle scuole è stata fortemente ridotta a tecnicismo burocratico. Per questo, innanzitutto, sarebbe giusto mobilitarsi.

 

         Scontato che sia così? Nei comunicati sindacali, assieme a legittime rivendicazioni, è debole il riferimento ad una chiara e nuova figura dirigenziale al passo con la domanda sociale. E proprio l’assenza di questa chiarezza rischia di ridurre la mobilitazione, come quelle precedenti, a rivendicazioni poco incidenti, inadeguate a rilanciare un’azione coerente. La posta in gioco è alta: occorre un nuovo ruolo, un nuovo e moderno quadro giuridico della direzione scolastica che la riforma della dirigenza pubblica non ha affrontato.

 

Occorre, per questo, chiarezza nell’impostazione di questa mobilitazione.

Chi dovrebbe essere il vero interlocutore dell’attuale protesta: unicamente il MIUR, o piuttosto il MEF e la Funzione pubblica che hanno espresso in questi anni rilevabili resistenze a impegnare risorse finanziarie a favore dei capi d’istituto? e il Parlamento che stenta a riconoscere un’equiparazione con la Dirigenza pubblica che non ne snaturi il compito specifico?

Se le ragioni della protesta sono quelle scritte nei comunicati sindacali, come mai le parti sociali agiscono separate e con modalità di azione così diversificate, dividendo, di fatto, i presidi tra di loro? Una divisione che disorienta e non si comprende, vista la quasi identità delle richieste. L’unione fa la forza - recitava un antico adagio - e questa sarebbe stata la volta, allora, di dare un’unica voce ad una misura che giustamente si giudica colma.

 

 

       La situazione attuale è anche, occorre dirlo, l’esito di una linea perseguita dall’Amministrazione scolastica che ha via via equiparato compiti, incombenze, responsabilità del preside assimilandolo, come oggi è a tutti evidente, a funzionario ed esecutore di norme. La conseguenza, per la quale oggi ci si lamenta, è sotto gli occhi di tutti: il predominio di adempimenti burocratici e procedure di difficile gestione e l’appiattimento dell’impeto ideale del miglior preside a preoccupazioni ed affanni per il timore di non aver corrisposto ai commi e cavilli di qualche legge. Nel frattempo senza aver ottenuto (almeno!) alcun benché minimo miglioramento salariale né giustizia retributiva.  

 

      Non protestare, allora? I contenuti della mobilitazione sono più che condivisibili, ma rimangono diverse domande cruciali senza risposta:

-  quale la funzione di un preside nei contesti educativi attuali? quale immagine di leadership sviluppare?

-  a quale idea di scuola e di educazione deve far riferimento una figura direttiva moderna?

-  che tipo di valutazione e valorizzazione del preside si intende perseguire?

-  e, per questo, con quale riconoscimento economico sostenerne giustamente il delicato compito?

 

      «Una crisi - scrive Hannah Arendt - ci costringe a tornare alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto» senza rinunciare «a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce».

Il disagio di questo momento, compreso nella sua vera natura, costringe ancora di più, allora, a guardare e a verificare la vera posta in gioco: rendere possibile a chi dirige una scuola di contribuire a realizzare ambiti di autentica educazione, ricchi di proposte di apprendimento e relazione significative e aperte; di svolgere la funzione specifica; di contribuire alla libertà educativa, dentro la comunità scolastica che egli dirige.

E per realizzare questo, allora, chiedere l’emanazione di norme leggere, esigere che la responsabilità direttiva possa essere attuata senza gravarla di incombenze non proprie, domandare di disporre di strumenti di autonomia professionale utili al fine formativo, reclamare l’emanazione del concorso direttivo.

E, quindi, sostenere il riconoscimento, anche, della ‘giusta mercede’.

 

Per salvaguardare un protagonismo professionale a  servizio delle comunità di scuola.

 

 

Milano, 20 maggio 2017                                                 La Direzione nazionale DiSAL

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