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“I demoni” di F. Dostoevskij (1871) e “Occhi che non vedono” di J. A. Gonzales Sainz (2010): una lettura parallela

 “I demoni” di F. Dostoevskij (1871) e “Occhi che non vedono” di J. A. Gonzales Sainz (2010): la persistenza dell’umano nella violenza dell’ideologia

La lettura parallela dei due volumi, attraverso il confronto dei quattro protagonisti, mette il luce analogie e suggestioni che ci inducono a riflettere su di noi e sul nostro tempo

La lettura parallela del celebre “I demoni” di F. Dostoevskij del 1871 e del volume del 2010 “Occhi che non vedono” del critico e scrittore spagnolo J. A. Gonzales Sainz induce a rilevare una serie di analogie e continuità tra i due testi che aprono a significative riflessioni sul nostro tempo, su una modernità che sembra essere tramontata ma che si ripresenta in forme solo apparentemente diverse.

Tema dei due testi è quello dell’ideologia rivoluzionaria che sostituisce il cuore umano, l’umanità dei personaggi: un sistema di idee articolato, ma non complesso, così sufficiente a se stesso che non ha bisogno di tener conto dell’evento, del nuovo, dell’umanità di chi ti sta accanto o di fronte - tanto più se è costituito per posizione nel ruolo del nemico - prende il posto del complesso di desideri ed esigenze che rendono l’essere umano se stesso. Invece del confronto con la realtà e con ciò che accade domina l’applicazione di uno schema mentale fino alla riduzione di essa o al suo annichilimento: la realtà, se esiste, è del tutto riconducibile alle mie categorie; in parole povere: o la realtà è come la penso io, o non esiste. Tale schema mentale nel capolavoro russo si definisce come Nichilismo, nel volume di Sainz potremmo avvertirla come ideologia, ma l’area semantica di queste due parole si sovrappone per amplissimo tratto nelle opere considerate.

Sono innumerevoli gli spunti e le suggestioni che caratterizzano i due testi e che fanno sì che essi sembrino richiamarsi l’un l’altro, mostrando più che citazioni involontarie, la monotonia e la ripetitività dell’ideologia, proprio in quanto essa esprime le intenzioni del potere sempre in fondo uniformi e grigie contro le intenzioni della vita sempre cangianti e multiformi.

Colpisce la struttura di base dei protagonisti attivi dei due romanzi: si tratta di un quadrilatero di personaggi in azione costituito da un padre, una madre e due figli maschi. In entrambi i testi le relazioni che i personaggi intrattengono sono regolate dal ruolo figlio – padre, ma privi di autentico dialogo. Anzi tra i personaggi si avverte una profonda incomunicabilità, con rare eccezioni nei momenti significativi e decisivi dei romanzi. Tra essi non c’è parola – salvo appunto poche eccezioni decisive: dialogare, scambiare parole significative presuppone un orizzonte di senso comune grazie al quale le parole possano avere significato, possano avere un’eco nella mente, appellarsi al pensiero e all’esperienza, riferirsi allo stesso mondo: il loro mondo è apparentemente lo stesso ma il logos che lo interpreta non risponde alle stesse leggi: è un modo diverso d’intendere la ragione che sovraintende il senso delle parole pronunciate dai protagonisti e che quindi non possono essere comunicate, ovvero condivise. In ogni epoca, nel passaggio da una generazione all’altra sono sempre avvenute rotture e scontri, ma nel rapporto tra i genitori e i figli di questi due romanzi sembra impossibile, sotto certi aspetti, la stessa azione comunicativa e ciò mette in crisi e annulla il senso dell’educazione, ovvero della consegna e dell’affido di quell’insieme di valori, parole, esperienze che introducono a leggere il mondo e ad affrontare la realtà. Forse i due autori ci vogliono implicitamente comunicare che quello del nichilismo e dell’ideologia è anche e forse soprattutto un problema di educazione, nel senso più autentico del termine!   

Il quadrilatero di “Occhi che non vedono” è più essenziale di quello de “I demoni”. Questo perché l’autore punta a far emergere il tema drammatico da una stringente essenzialità e semplicità. Il taglio meglio si adatta al livello sociale dei personaggi appartenenti originariamente al mondo contadino e poi trasferiti nella periferia operaia di un centro industriale. Il protagonista di “Occhi che non vedono” è il padre Felipe Diaz Carrion che si sposta con la sua famiglia dalla campagna alla grande città per lavorare come operaio. Lì in un appartamento di un grande condominio cresce la famiglia. La moglie Asuncion Garcia Bellido gli darà due figli: il primo Juan Josè Diaz Garcia a poco a poco entra nel movimento rivoluzionario autonomista basco e diventa esecutore di efferati delitti politici, il secondo Felipe Diaz Garcia resta vicino al padre e ne condivide in parte il percorso di consapevolezza di fronte al gorgo dell’ideologia che sembra inghiottire gli altri due famigliari, dato che anche Asuncion aderisce al movimento politico autonomista e rivoluzionario che fiancheggia su un piano istituzionale e politico le azioni di guerriglia terroristica del partito armato e va a rivestire cariche pubbliche come quella di consigliere comunale.

Ne “I demoni”i due genitori sono Stepan Trofimovič Verchovenskij  e Varvara Petrovna Stavrogina: essi non sono sposati ma hanno una lunga relazione di amicizia intellettuale: in realtà in più punti del libro si intuisce che tra i due è nato e si è sviluppato un legame affettivo che è stato  sacrificato dagli obblighi relativi alla posizione sociale e alle velleità intellettuali di entrambi. Stepan Trofimovich Verkhovensky vive con la facoltosa proprietaria terriera Varvara Petrovna Stavrogina nella sua tenuta di Skvoreshniki, in una cittadina di provincia russa. Inizialmente Stepan Trofimovich viene impiegato come precettore del figlio di Varvara Petrovna, Nikolai Vsevolodovich e risiede nella tenuta per quasi vent'anni in una relazione intima ma platonica con la sua nobile padrona. Stepan Trofimovich ha già un figlio da un suo precedente matrimonio, ma egli è cresciuto da solo, lontano dagli occhi del padre.

Stepan è uno Scrittore liberale occidentalista e poeta incompreso, ingenuo e sentimentale, padre di Pëtr Verchovenskij. Simbolo delle "colpe dei padri"; ma è proprio da lui che giungono le uniche parole di conforto per il lettore sul finire del romanzo. Tutore di Nikolaj quando questi era un bambino, è uno sconfitto dalle ambizioni irrealizzate, dalla sfortuna in amore e dall'impotenza che dimostra di fronte ai problemi. Come dice Rowan Williams, interpreta “il modo in cui una classe intellettuale  può essere corrotta e volgarizzata”.

Pëtr Stepanovič Verchovenskij il figlio di Stepan Trofimovič è il creatore di una cellula terroristica atta a sovvertire le leggi dello Stato; leader del movimento rivoluzionario locale. Abbastanza intelligente, ma soprattutto cinico manipolatore, un giovane nervoso appassionato.

Nikolaj (Nikolas) Vsevolodovič Stavrogin è il protagonista autentico del romanzo Ultimo discendente di una ricca famiglia di proprietari terrieri. Taciturno, sempre perfettamente padrone di sé e dotato di una straordinaria forza fisica; dopo la laurea s'era arruolato nell'esercito e presto divenne guardia imperiale, ma a causa di vari scandali e della sua partecipazione a duelli vietati è stato rimosso.

Diventa la rappresentazione del "male morale assoluto", lo spirito demoniaco per eccellenza. Tuttavia tale caratterizzazione non è marcata in una sorta di ruolo di cattivo: nonostante l’aberrazione dei suoi gesti e la gravità delle sue responsabilità, il male deriva sempre da una  possibilità, dall’arbitrio di fare il male che inonda di male le vite di tanti altri personaggi, soprattutto femminili (Matrosa, Liza, Maria, la moglie di Satov).  Stavrogin non le uccide direttamente ma le seduce (appunto come un demone) e le abbandona a un destino di suicidio e morte. Stavrogin sembra quasi indotto al male, travolto suo malgrado da una forza interna più grande di lui e il capitolo dell’incontro con Tichon mette in luce un dramma irrisolto che lo accompagna fino a condannare le vite di tante innocenti e fino al proprio suicidio.

Sebbene lungo il corso della storia appaia meno di altri personaggi (a volte scomparendo addirittura dalla scena) è lui l'autentico motore del romanzo, attorno al quale vengono a ruotare poi tutti gli altri personaggi.

Anche nei demoni, seppure con maggiore articolazione e  complessità, i quattro personaggi si raccolgono a due a due, questa volta i due genitori da una parte e i due figli dall’altra: I genitori liberali vedono la realtà dei figli nati da loro e cresciuti nel solco delle loro idee solo alla fine e di fronte alla morte (di Stefan Trofimovic e di Stavrogin) mentre i due figli sono inghiottiti dal male, l’uno dell’ideologia rivoluzionaria e nichilista nella sua forma politica e terroristica, l’altro del male come possibilità dell’uomo abbandonato al suo peccato. Pëtr è un tessitore di molti inganni e trame per uccidere e distruggere, Nicolaj mostra sadico accanimento per vittime deboli che sembrano volergli bene. In esso sembrano mostrarsi i due volti contigui della violenza originata dall’ideologia totalitaria: il piano strategico di distruzione e sterminio nell’idea di costruire un mondo nuovo e le pulsioni sadiche liberate dall’esaltazione della violenza e dalla cancellazione di Dio e di qualunque altro freno o norma o principio riconosciuto del valore della vita umana. Rowan Williams afferma che esprimono “il modo in cui il fervore rivoluzionario e il desiderio di giustizia  possono diventare una scusa per la violenza, in cui le forze profondamente minacciose vi penetrano e creano una sorta di vuoto che risucchia le persone”.

L’eco, più semplice ed essenziale, del testo spagnolo contemporaneo concentra il significato sulla possibilità di resistere all’ideologia che pervade l’ambiente e lo satura di una opprimente e sottintesa menzogna a cui non si può opporre più nessuna difesa se non le intenzioni della vita stessa. E’ la parabola del protagonista, emarginato sul posto di lavoro, isolato in famiglia, cacciato fuori anche dal bar sotto casa perché non si arrende all’evidenza “che alcune cose son giuste in questa vita e altre sono ingiuste; che alcune cose sono sensate e danno piacere vederle e altre crescono come rachitiche e piene di piaghe in ogni dove… e che alcune sono solite comportare il bene generale a tutto il mondo e altre non arrecano altro che calamità e atrocità in tutto il mondo … e per ogni cosa vi è un limite e il limite dei limiti è la vita degli altri…”

E' un libro avvincente che attraversa il Novecento e ne offre un giudizio storico senza essere un romanzo storico. Gli occhi che non vedono sono quelli dei militanti chiusi dall'ideologia, ma possono essere gli occhi di tutti, anche i nostri, se non guardiamo alla realtà con negli occhi lo sguardo che ci ha amato.

 

 


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