ScuolaEuropa/Finlandia: scheda e riflessioni sul sistema scolastico


Pubblichiamo una selezione di saggi, articoli, recensioni e riflessioni sul sistema scolastico finlanese, che è stato negli ultimi due anni oggetto di discussione e confronto.

 

Finlandia: nulla di straordinario. Un sistema scolastico normale

Sito Norberto Bottani  -  24 giugno 2012

Una riforma scolastica avviata 40 anni fa: decentralizzazione, pochi test, insegnanti professionisti. Adattamento di un articolo di Adam Taylor pubblicato il 14.12 2011 dal Business Insider International.

Caratteristiche di un servizio scolastico che inanella successi da anni. Poca scuola, molta responsabilità alle scuole e agli enti locali, università eccellenti, investimenti nel capitale umano. Un caso da studiare: come un sistema scolastico può tenere il passo delle trasformazioni economiche. In mezzo secolo la Finlandia rurale e povera è scomparsa ed è diventata un’economia post-moderna, d’avanguardia, competitiva. La saggezza delle autorità finlandesi, dei governi di centro-destra e centro-sinistra, dei sindacati degli insegnanti, fu la volontà di cambiare, di modificare sul serio una scuola che era per pochi, arretrata, ingiusta e di fare una buona scuola per molti (ma non per tutti). Ci sono nondimeno buchi neri anche nel sistema scolastico finlandese.

Riassunto di un articolo di Adam Talor pubblicato dal Business Insider International, corredato da magnifiche fotografie. L’articolo è stato scritto per gli Stati Uniti e quindi talune osservazioni non pertinenti sono state adattate per esser comprensibili nel quadro scolastico italiano.

Scuola dell’obbligo

La scuola dell’obbligo inizia a sette anni. La scuola materna è pressoché inesistente. La filosofia educativa imperante è che prima dei sette anni soprattutto si gioca e che si impara giocando. Lasciare tempo al tempo.

Pochi esami e pochi compiti fino all’adolescenza (quindi per tutta la durata della scuola elementare e della scuola media italiana).

Nessun test nei primi nove anni di scuola, nessuna valutazione dei risultati fino al secondo anno della scuola media italiana.

Una sola prova strutturata e obbligatoria simile ad un test solo a 16 anni ossia alla fine della scuola dell’obbligo la quale è unica dai 7 ai 16 anni.

Il 30% degli alunni beneficia di aiuti (supporto pedagogico) durante la scuola dell’obbligo (che dura nove anni).

Nessuna selezione delle classi per livelli di capacità. Le classi sono eterogenee : tutti sono assieme, forti e deboli. Classi eterogenee nel gergo pedagogico non italiano.

Il divario tra studenti deboli e studenti forti nei test dell’indagine PISA a 15 anni (un anno prima della fine della scuola dell’obbligo) è il più ridotto al mondo.Gli studenti finlandesi con i più bassi punteggi nell’indagine PISA in media conseguono punteggi pressapoco equivalenti a quelli dei migliori studenti italiani. Siccome la media dei punteggi nei test è altissima con una proporzione elevata di studenti con punteggi eccellenti, questo vuol dire che il sistema scolastico finlandese si occupa molto degli studenti che fanno fatica a scuola. Questo è il risultato del sostegno individuale esistente nel corso della scuola dell’obbligo.

Insegnamento secondario di secondo grado

Il 66% degli studenti frequenta dopo la scuola dell’obbligo una specie di liceo di cultura generale. Questa tendenza è il frutto della decisione politica presa 40 anni fa di trasformare l’economia finlandese per farne un’economia della conoscenza. In realtà non si tratta di un liceo come lo intendiamo in Italia ma di un corso propedeutico triennale all’università. Non è necessario restare tre anni in questo tipo d’insegnamento. Ci si presenta agli esami quando ci si sente pronti.

Formazione universitaria o terziaria

L’accesso all’università non è libero. Si deve superare un esame per matricole al quale ci si può presentare solo dopo i 18 anni. Gli studenti possono scegliere il livello di difficoltà a seconda degli studi che intendono svolgere. Per esempio in matematica esiste un livello esigente ed uno di base valido per tutti. Impossibile inscriversi ad una facoltà scientifica senza avere superato con successo la prova in matematica a livello avanzato. L’esame consiste in 10 problemi di matematica da scegliere tra 15. Si passa la prova se si risolvono correttamente almeno otto o nove problemi, dipende dagli anni.

La proporzione dei laureati nelle discipline scientifiche è pari al 30%.

Formazione e reclutamento degli insegnanti

Non esiste una formazione universitaria specifica per l’insegnamento. Il 10% dei migliori laureati con laurea di secondo livello in tutte le facoltà (quelli che in Italia prendono un 110 e lode) è reclutato per l’insegnamento. Formazione pedagogica iniziale ad hoc per loro completata dalla formazione permanente o formazione in servizio.

Stipendi degli insegnanti relativamente modesti. Lo stipendio iniziale nella scuola dell’obbligo , nel 2008, era di 29 000 dollari annui.

Non esiste uno stipendio in base al merito.

Gli insegnanti sono obbligati a stare a scuola tutto il giorno e non possono andarsene quando hanno terminato l’onere delle lezioni da impartire.

In media , per ogni 4 ore di lezione ce ne sono due di perfezionamento professionale. In altri termine metà delle ore lavorative per contratto sono ore consacrate al perfezionamento professionale.

Organizzazione del sistema scolastico

Il sistema scolastico è totalmente decentralizzato. La responsabilità principale della gestione e del controllo delle scuole incombe agli enti locali. I comuni sono estesi in superficie, sono pochi ed possono essere comparati ai comuni urbani italiani. Il Ministero dell’istruzione centrale, al livello dello Stato, a Helsinki, nella capitale, ha poche competenze. Tra queste quella delle statistiche scolastiche (di qualità non eccezionale), della valutazione del sistema ( adottata solo di recente) , della rappresentazione internazionale (molto attiva a Bruxelles nell’Unione Europea).

Sistema scolastico poco costoso : il costo di un allievo della scuola dell’obbligo in media è del 30% inferiore al costo pro capite di un allievo negli USA.

Esiste un curricolo nazionale ma è solo indicativo. Si tratta di direttive generiche che sono interpretate liberamente dalle scuole

Non esiste un servizio ufficiale d’ispezione delle scuole

Conclusione

Il sistema scolastico finlandese è lungi dall’essere perfetto come lo dimostra molto bene l’articolo di Olli Martio, professore emerito dell’università di Helsinki e segretario generale della Finnish Academy of Science and Letters, che riguarda l’apprendimento della matematica, l’evoluzione delle mode matematiche nel corso di questi ultimi cinquant’anni che sono state recepite anche in Finlandia, la diffusione delle calcolatrici nelle scuole, il quadro teorico dell’indagine PISA.

 

 

Recensione del volume “Finnish Lessons” di Pasi Sahlberg

Sito di Claudio Giunta da il Supplemento culturale del Sole 24 ore, 24 giugno 2012

A un certo punto, tutti hanno cominciato a partire per la Finlandia. Task-force di insegnanti, pedagogisti, delegazioni di partito. Perché in un mondo (occidentale) in cui le scuole vanno male, e gli studenti arrancano nelle classifiche internazionali dietro gli indiani, i cinesi, i singaporiani, in Finlandia le scuole vanno bene. La prova? Gli studenti finlandesi sono da anni ai primi posti nei test PISA, che misurano le competenze dei quindicenni dei paesi OCSE nella lettura, nella matematica e nelle scienze.

Il libro Finnish Lessons (Teachers College Press, New York & London 2011) rende ora questi viaggi sulle tracce del Modello Virtuoso un po’ meno necessari, se non proprio inutili, perché in 165 pagine dice tutto quello che serve sapere sul sistema scolastico finlandese. In realtà dice anche troppo, cioè spalma su 165 pagine quello che si sarebbe potuto dire in trenta. E lo dice spesso con un orgoglio e un pathos abbastanza urtanti. Un capitolo s’intitola Il futuro è finlandese?; la maestra elementare Veera Salonen dichiara: «Voglio essere un insegnante perché voglio fare la differenza nella vita dei bambini e di questa nazione. Il mio lavoro coi bambini è sempre stato basato su amore e dedizione [...]. È l’unico modo attraverso il quale penso di potermi realizzare»; e l’intero libro è condito da citazioni new age prese da Neil Young o dagli U2 (“Il futuro ha bisogno di un grosso bacio”). Del resto l’autore, Pasi Sahlberg, non è uno spettatore imparziale bensì il Direttore Generale del Ministero per l’Educazione e la Cultura: parla delle virtù del sistema che amministra. E del resto questo è il tono che, parlando delle scuole finlandesi, adoperano anche coloro che sono o dovrebbero essere spettatori imparziali. Ecco l’inizio di un articolo uscito su Die Zeit nel 2007: “Su Helsinki sta per calare la notte. Matti Meri accende la luce su uno degli scaffali della sua casa e si siede davanti al caminetto. Gli sfugge un sospiro sommesso mentre cerca una risposta alla nostra domanda: ‘Perché la Finlandia è un paese modello?’” (Henning Sussebach e Stefan Willeke, Primi della classe, tradotto in «Internazionale», 4 maggio 2007, pp. 52-55).

Toni ispirati a parte, come funziona questa scuola-modello? Dopo aver letto il libro ne ho parlato con Alberto Tomasi, preside del liceo scientifico Leonardo da Vinci di Trento, che è tra quelli che sono andati a verificare sul posto. I finlandesi vanno a scuola tardi, a 7 anni (ma molti fanno la pre-scuola a 6), e stanno nella stessa scuola fino alla conclusione dell’obbligo, a 16 anni, il che vuol dire che non c’è cesura netta tra elementari, medie (l’anello più debole della scuola italiana) e primi due anni delle superiori. Finito questo primo segmento, che si chiama peruskoulu, si aprono due strade: quella del liceo, che dopo tre anni porta in genere all’università (gratuita, in Finlandia); e quella della scuola professionale, che dopo tre anni porta al lavoro o a un ulteriore biennio di ‘vocational college’. La scelta della vita si fa a 16 anni, non a 18-19 come in Italia (questo viene detto di rado, nei peana che si dedicano alla scuola finlandese); e questa scelta è fortemente orientata dai consigli degli insegnanti.

Il curriculum è meno rigido rispetto a quello italiano. Ci sono alcune materie obbligatorie (finlandese, svedese, matematica, e poche altre) e altre materie opzionali, scelte a seconda degli interessi e delle inclinazioni dello studente. I corsi non durano per un intero anno scolastico ma vengono spezzati in moduli di alcune settimane, al termine dei quali c’è un esame. La bocciatura non esiste: chi è carente in una materia, o chi ha accumulato troppe assenze, segue un’altra volta il modulo, dopodiché prende il voto che si merita. Non esiste neppure il gruppo-classe compatto e immutabile: ogni studente cambia classe e compagni a seconda del modulo che deve seguire. La classe, intesa come muri e banchi, ‘appartiene’ all’insegnante, che è libero di gestirla come meglio crede. Le scuole non sono lussuose ma accoglienti (mense, spazi di studio, postazioni internet), la libertà per gli studenti è massima, i controlli minimi: i bidelli quasi non ci sono, le pulizie sono affidate a imprese esterne. Le ore di lezione frontale sono meno di quelle che si fanno in Italia; i compiti sono pochi; invece di passare i pomeriggi a studiare, i giovani finlandesi (ma i giovani scandinavi in generale) si ritrovano in gruppi sportivi o associazioni extra-scolastiche.

«Durante il periodo in cui fu ministro, W. von Humboldt emanò un solo editto: per una seria selezione degli insegnanti» (P. Blaettner, Storia della pedagogia moderna e contemporanea, Roma 1968, p. 236). La Finlandia applica con rigore questo principio: la selezione degli insegnanti è estremamente severa, il che fa sì che la professione sia ambìta e rispettata, anche se gli stipendi sono solo poco più alti rispetto a quelli medi europei. E, mi fa notare Tomasi, le modalità d’assunzione sono molto più flessibili di quelle italiane, perché a decidere non è il ministero bensì una commissione formata dal preside, che ha molto più potere dei suoi omologhi italiani, da alcuni docenti e da un rappresentante del comune e dal preside. Si decentra; si incoraggia all’autonomia.

Quanto alla valutazione, è degno di nota il fatto che i finlandesi, trionfatori ai test PISA, rifiutino i test standardizzati, quelli che pretendono di misurare attraverso un unico protocollo le competenze di tutti gli studenti di un intero paese. Gli insegnanti lavorano in autonomia, senza essere controllati dal ministero, perché “l’idea fondamentale è che i docenti sono professionisti ben preparati che fanno del loro meglio” (p. 91). La cosa commuove soprattutto i commentatori americani (per esempio Diane Ravitch sulla “New York Review of Books” dell’8 marzo 2012), perché negli Stati Uniti il programma “No Child Left Behind” ha trasformato le scuole – sostengono i detrattori – in catene di montaggio nelle quali si mortificano gli insegnamenti fondamentali (letteratura e arte in ispecie) e l’intera didattica si risolve nel ‘teaching to the test’, cioè nell’insegnare quel che serve a superare gli esami, e poco altro. La discussione su questo punto (valutazione sì/no) è infinita. Ma, come mi fa osservare Tomasi, la scelta finlandese sembra pagare anche a livello di sistema, e non solo di exploits individuali: i test PISA mostrano che in Finlandia il livello degli studenti delle varie scuole è omogeneo, mentre l’Italia è il paese OCSE in cui le differenze di qualità tra scuola e scuola sono più marcate. Cioè: tra Roma centro e Roma estrema periferia, salvo eccezioni, c’è un abisso: e sta qui la vera iniquità.

È tutto oro, quello finlandese? Una volta finito Finnish Lessons, rimangono molti dubbi, e vengono in mente molte obiezioni. Questione di numeri: un conto è far funzionare il sistema scolastico in un paese di cinque milioni d’abitanti, e con pochi immigrati, e un conto e far funzionare il sistema scolastico in un paese popoloso e sempre più eterogeneo come l’Italia. Questione di soldi: non è strano che la scuola funzioni in un paese scandinavo con un forte stato sociale e soprattutto, con una multinazionale come Nokia in vertiginosa espansione a partire dai primi anni Novanta. Ovvero: non è tutto un po’ più semplice? Non c’è soprattutto da dire che le scuole funzionano dove ci sono i soldi per farle funzionare? E per esempio che, con la Danimarca, la Finlandia è la nazione del mondo che conta il minor numero di bambini poveri (il 3.4%; negli USA sono il 21.7%). La peruskoulu in Uganda, o nella periferia di Chicago (o di Milano) non avrebbe lo stesso successo. “Wilkinson e Pitchett – osserva Sahlberg – mostrano come nazioni più eque (statisticamente) hanno cittadini più colti, abbandoni scolastici più rari, meno obesità, migliore salute mentale e meno adolescenti incinte rispetto alle nazioni in cui lo stacco tra ricchi e poveri è più grande” (p. 113). Ma ci volevano Wilkinson e Pitchett? Questione di sostanza. Certe frasi di Sahlberg lasciano perplessi perché sono in contraddizione con il ‘curriculum personalizzato’ che sarebbe il vanto della scuola finlandese e perché avallano orientamenti pedagogici deteriori: “meno tempo speso in argomenti convenzionali, come la lingua materna, la matematica e le scienze, e più tempo per temi integrati, progetti e attività” (sic, p. 141); e basta col “routine knowledge”, sotto col “pensiero analitico e critico, e l’abilità nel problem-solving” (p. 142), perché ciò che occorre è, nel caratteristico gergo degli imbonitori, “una continua, sistemica trasformazione nell’insegnamento e nell’apprendimento, passo dopo passo verso il Grande Sogno” (p. 143). E infine, un dubbio generale sulla valutazione. Se una delle chiavi del successo finlandese è il rifiuto di introdurre nelle scuole test standardizzati, allora perché dovremmo credere ai risultati dei test PISA? Siamo davvero certi che essi misurino competenze che, tra nazione e nazione, possano essere paragonate?

In questa ricerca della ricetta giusta, e in questa certezza di averla trovata in Finlandia, c’è molto di puerile. È un desiderio comprensibile, un’illusione comprensibile, quando ci si trova di fronte un problema complicato come quello dell’istruzione. Ma non esistono idee educative che possano essere applicate sempre e dovunque con la certezza del successo, perché sono diverse le persone, le tradizioni nazionali, e (ma qui il discorso si farebbe molto complicato) gli stessi obiettivi che ciascuna comunità si prefigge. Finnish Lessons dà alcuni spunti di riflessione e qualche suggerimento interessante (smettere di bocciare; smettere di pensare alle classi come a dei blocchi compatti; selezionare gli insegnanti con estremo rigore); ma, quanto al resto, dovremo cavarcela da soli.

 

 

Finlandia: la scuola perfetta

LynNell Hancock, Smithsonian, Stati Uniti

Fondi per chi ne ha più bisogno, sostegno per gli studenti in diicoltà e nessun test di valutazione. Puntando su qualità ed equità, la Finlandia ha creato un sistema d’istruzione modello

Internazionale – Rivista n. 948  -  11 maggio 2012

(articolo allegato)

 

 

SCUOLA/ Il mito della Finlandia: qualcosa sui prof si può imparare

IlSussidiario.net  -   INTERVISTA a Giacomo Zagardo

giovedì 17 maggio 2012

Il sistema scolastico finlandese ha acquistato improvvisa notorietà nei primi anni duemila, quando i test Pisa (programma per la valutazione internazionale dell’allievo, ndr) mostrarono che gli studenti della Finlandia erano davanti a tutti gli altri. Da allora, citare la Finlandia è diventato d’obbligo per indicare una scuola di qualità. Così, in un periodico come Internazionale può venire pubblicato un reportage che reca come titolo nientemeno che «La scuola perfetta». Nessun preconcetto politico di origine nostrana: la giornalista è americana. Ebbene, tutte le scuole sono finanziate dallo Stato, non ci sono test, il 93% degli studenti si diploma (in licei o scuole professionali), il 66% prosegue gli studi iscrivendosi all’università, l’obbligo scolastico che inizia a sette anni, pochi compiti a casa, docenti tenuti ad aggiornarsi continuamente, forme di sostegno personalizzate e in quantità, insomma nessuno viene lasciato indietro. Vien da sé che la tentazione è quella di fare una riforma, addormentarsi italiani e risvegliarsi finlandesi. IlSussidiario.net ne ha parlato con Giacomo Zagardo (Isfol), esperto di sistemi comparati.
È applicabile il modello finlandese in Italia?

Certo, non tutto è esportabile. Ad esempio, quella finlandese non è una cultura che si autovaluta in continuazione. Non c’è come nel resto dei paesi Ocse un uso frenetico dei test di valutazione a scuola a tutti i livelli. Ma questo si spiega per le caratteristiche strutturali della popolazione scolastica finnica. Qui non possiamo compararci alla Finlandia, in quanto le condizioni di partenza sono diverse: la varianza tra scuole è, laggiù, molto bassa (anche se si va accentuando sotto la spinta dell’immigrazione) e vi sono poche disuguaglianze tra scuole delle periferie e del centro. Da noi, in Italia, c’è molta differenza nei risultati di apprendimento soprattutto tra scuola e scuola e, pertanto, la valutazione serve proprio per rilevarle nel dettaglio e trovare soluzioni didattiche a quelle carenze che si mostrano.
E i docenti?

Per i docenti ci sono altre differenze: quelli finlandesi hanno uno status riconosciuto come importante socialmente; studiano molti anni (dopo l’assunzione anche in formazione continua e formazione tra pari) e per entrare in carriera affrontano concorsi difficilissimi e selettivi come prove ad ostacoli. Infine, sono scelti dalle stesse scuole e da queste possono essere licenziati. Per questo non si avverte il bisogno di valutarli continuamente.
E da noi?

Da noi, invece, quella dell’insegnante tende ad essere considerata come una professione di ripiego e a rischio di stress. La colpa non è dei docenti ma della comunità educante che non è così coesa come in Finlandia. Rispetto a questo Paese, in Italia c’è un’altissima mobilità docente proprio nelle scuole e nei tipi di scuole più a rischio di abbandono tra gli studenti. Da noi, l’organico, in quanto a caratteristiche, non è a misura delle necessità e dei progetti attivati dalle scuole, ma è scelto altrove con criteri amministrativi.
La Finlandia può suggerire qualcosa al nostro sistema scolastico?

Per avvicinarci alla buona scuola della Finlandia andrebbero quantomeno perseguite due strade: la scelta dei docenti a un livello più vicino al territorio e alle diverse esigenze delle scuole (in Lombardia si sta aprendo qualche spiraglio con le politiche educative dell’assessore Aprea; e l’allargamento del concetto di pubblica istruzione... Questo concetto rimanda al difficile (solo in Italia) tema della effettiva e reale libertà di educazione. Dove questa manca, paradossalmente, si acuiscono i problemi e le disparità.
A questo proposito in Finlandia come funziona?

Come in molti paesi del nord Europa, anche in Finlandia la scelta dei genitori è libera e gratuita, sia per iscrivere i figli a scuole statali (in realtà sono gestite delle Autorità locali) sia per farli frequentare scuole libere non governative. In presenza di uno specifico bisogno del territorio, chi rientra negli standard stabiliti dal “permesso di educazione” può erogare il servizio. La quota dei ragazzi che frequentano le scuole non governative è in crescita (attualmente riguarda l’8-10% dei ragazzi finlandesi) ma, al di là del peso reale contribuisce a migliorare la competitività del sistema. Ciò avviene, ad esempio, anche nella vicina Svezia, nelle cui grandi città il 40% degli studenti di scuola secondaria superiore accede alla scuola libera (ma finanziata dallo Stato in base ad un efficiente sistema di vouchers).
Sono tutte qui le differenze?

No. Ce n’è almeno ancora una molto importante. In Finlandia, i ragazzi hanno a scuola un supporto specifico di docenti di recupero ma, fuori della scuola, hanno la possibilità di accedere a costi “politici” a strutture del tempo libero, anche in convenzione, monitorate e sovvenzionate dai comuni. Le competenze che si acquisiscono affiancano per via ludica quelle scolastiche e sono talmente importanti per i risultati finali degli alunni che i loro standard sono sotto la sorveglianza dello stesso organismo che appronta il curriculum nazionale scolastico.

 

 

Scuole di successo!

Le scuole finlandesi, quattro casi di eccellenza.

Sito INDIRE  -  24 giungo 2012  -  di Franca Pampaloni

Questo mese “Abitare la Scuola” propone una documentazione su quattro esemplari ed innovative scuole finlandesi: Scuole Secondarie, Scuole Primarie, Jouensuu, Finlandia.

Illustrato da molte fotografie, il viaggio dentro i quattro istituti permette di cogliere alcuni punti di forza fondamentali della scuola finlandese: la diffusione e l’uso quotidiano delle ICT, l’importanza e la cura con cui sono svolte le attività manuali e laboratoriali, la vivibilità degli spazi, la formazione degli insegnanti.
Tutto l’edificio scolastico, esterni ed interni, – non solo l’aula – diventa learning environment e offre angoli dove studiare, incontrarsi, sostare, mostrando come l’attenzione all’ambiente sia una componente fondamentale delle esperienze didattiche più avanzate.

Le foto pubblicate sul sito Abitare la Scuola sono tratte da un viaggio studio condotto dal prof. Marco Orsi, che in un’intervista pubblicata sulla webzine di Indire-ANSAS descrive gli ingredienti de "Il successo della scuola finlandese".

 

 

Il successo della scuola finlandese

Intervista a Marco Orsi, responsabile di "Senza Zaino"

Sito INDIRE  -   di Maria Grazia Mura  -  28 Ottobre 2011

Il prof. Marco Orsi, che segue il progetto italiano "Senza Zaino", descrive i punti di forza delle scuole finlandesi, considerate tra le migliori del mondo. Una sezione di ‘Abitare la Scuola’ commenta queste considerazioni con una galleria fotografica.

Prof. Orsi quali sono i punti di forza della scuola Finlandese?

In primo luogo la formazione dei docenti: l’ottima preparazione universitaria di tutti i docenti, dalla primaria alla secondaria, ed il rapporto stretto, il forte interscambio, tra ricerca universitaria e attività didattica.
Ad esempio nella città di Jouensuu, che ho visitato, accanto alla facoltà universitaria dove studiano i futuri docenti sono state costruite una scuola primaria e una secondaria. Qui i docenti che insegnano alla scuola primaria e secondaria insegnano anche all’università, e gli studenti universitari vanno nelle scuole a vedere le pratiche didattiche.
Altro punto di forza è l’attenzione alle nuove tecnologie. Nelle classi che abbiamo visitato c’è sempre una LIM e ci sono i computer, in tutte le aule sia della primaria che della secondaria. I computer sono a disposizione anche negli spazi comuni. Soprattutto nella secondaria i ragazzi possono accedere in ogni momento ad internet per attività didattiche o ricreative.
Altro punto di forza è l’attenzione alle attività manuali: è una delle cose che più mi hanno colpito. L’utilizzo delle ICT a tutto campo, sia da parte dei ragazzi che dei docenti, tutti preparatissimi ad utilizzarle, si unisce ad un grande valore che viene dato nel curricolo alle attività manuali e laboratoriali. In tutte le scuole, primarie e secondarie, ci sono i laboratori di falegnameria, che poi diventano, quando i ragazzi sono più grandi, laboratori del ferro.
Quindi i ragazzi sono abituati a lavorare con macchinari di una certa complessità come pialle a spessore, seghe a nastro, saldatori, ecc. tutti quegli oggetti utilizzati normalmente in una officina meccanica e in una falegnameria e che da noi sarebbero impensabili non tanto per ragioni di budget quanto per una visione eccessiva circa le questioni della sicurezza.
Poi hanno il laboratorio di taglio e cucito e il laboratorio di arti grafiche. E comunque l’importanza data alla manualità è uno degli aspetti che ho visto più sviluppato anche rispetto agli altri paesi europei. Sappiamo che l’uso delle mani è uno degli ingredienti per lo sviluppo dell’intelligenza, anche se questo importante aspetto della formazione non è messo in rilievo nei tanti rapporti sulla Finlandia. Ma qui, in questa scuola di eccellenza, che per tre volte è risultata in cima alla classifica OCSE PISA rispetto a tutte le scuole del mondo, questo aspetto viene riconosciuto e praticato.
Ai laboratori di musica viene dato molto peso, dai 7 ai 16 anni i ragazzi frequentano laboratori di musica attrezzatissimi, anche nelle scuole più periferiche. Ci sono ad esempio un numero di chitarre, tastiere, percussioni, strumenti a fiato, sufficiente a poter far lavorare tranquillamente 20 - 25 ragazzi. E come sappiamo il curricolo musicale è uno dei fondamenti dei saperi disciplinari, connesso agli apprendimenti di discipline come la matematica o la lingua: avere un buon curricolo di musica è centrale in una scuola di qualità. Infine troviamo molta attenzione alla attività teatrale.
Un altro elemento significativo è l’attenzione alle piccole scuole periferiche, situate nei villaggi, nelle foreste, nei laghi, scuole che noi chiameremmo pluriclassi.
Mentre in Italia le pluriclassi non sono sostenute, in Finlandia sono supportate da molti finanziamenti e dotate di tutta la strumentazione possibile perché risultino scuole di qualità.
Qui da noi le pluriclassi sono ritenute scuole di secondo livello, si pensa che l’attività didattica seria si faccia solo nelle scuole a classe unica. Questa attenzione alle pluriclassi tra l’altro l’ho riscontrata anche nel viaggio che ho fatto successivamente nella Repubblica Dominicana: si chiamano scuole multigrado ed hanno dei sostegni ministeriali e dei finanziamenti della cooperazione internazionale dedicati.
L’attenzione alle scuole pluriclassi l’ho trovata quindi sia in un paese in via di sviluppo, sia in un paese al top della classifica mondiale, e mi ha colpito molto, perché la scuola in queste realtà periferiche è fondamentale ed è quindi essenziale che sia di qualità.
Un altro aspetto caratteristico della Finlandia è l’autonomia dei ragazzi, che vanno da soli a scuola, e questa autonomia l’ho riscontrata anche in Repubblica Dominicana, dove è dettata da necessità economiche. Ad esempio sia in un paese che nell’altro i ragazzi andando a scuola da soli acquisiscono un’autonomia che i nostri ragazzi non hanno. Per non dire dei comportamenti a cui sono abituati durante l’attività scolastica.

Ci racconti di alcune modalità di fare didattica che ha trovato più interessanti…

L’attività didattica è molto scandita: ho assistito a diverse lezioni, sia nella primaria che nella secondaria e ho visto che generalmente si svolgono in 3 passaggi. All’inizio l’intervento del docente - che non dura più di un quarto d’ora - poi il coinvolgimento degli alunni attraverso un’attività, un lavoro di gruppo o una presentazione, e infine si passa alla terza fase che è realizzativa e che può essere di tipo laboratoriale.
Per esempio ho assistito in una secondaria ad una lezione di fisica: dapprima il professore spiegava l’argomento con una presentazione al computer, poi ha chiamato un alunno che ha commentato l’argomento utilizzando la LIM, infine la classe si è trasferita in laboratorio per costruire degli esperimenti pratici.
Nella scuola elementare, si ripeteva lo stesso schema: spiegazione, lavoro di gruppo, sintesi. Quando i ragazzi erano impegnati nel lavoro di gruppo, l’insegnante è andato via dalla classe e ci ha accompagnato a visitare la scuola. Una volta ritornati gli alunni tranquillamente svolgevano il loro compito: sono abituati ad essere autonomi e indipendenti. Il tema della sorveglianza non è cosi stringente, non è forte come in Italia, sia negli spazi di raccordo interni all’edificio, sia negli spazi esterni.
Ancora una volta è importante sviluppare l’autonomia: non dimentichiamo che le competenze sulle quali oggi insistiamo per il processo di apprendimento si basano sull’autonomia, non esiste la competenza se non c’è il soggetto autonomo. Quindi questo sviluppo dell’indipendenza, del saper fare da sé senza che necessariamente ci sia la presenza costante e vigile del docente è uno degli ingredienti fondamentali per la riuscita del sistema - Finlandia.

Come è ritmato il tempo della scuola?

Il tempo scuola è diverso dal tempo di lezione: questo è un altro aspetto molto importante. Mi spiego: in Italia noi abbiamo un sistema molto rigido, la scuola comincia quando suona la campanella, cioè quando inizia la lezione, quando il docente entra in classe.
Questo non avviene in molti paesi scandinavi e anglosassoni, dove la scuola inizia quando i ragazzi arrivano a scuola. Fuori in giardino o dentro l’edificio, nell’atrio e negli spazi di raccordo – quindi non in aula – gli alunni trovano ambienti confortevoli e attrezzati per attività libere, per studiare, giocare o leggere un libro, parlare con i compagni, suonare la chitarra. Anche gli intervalli tra una lezione e l’altra vengono utilizzati in questo modo.
Questo vale anche per i docenti, che se ad esempio lavorano 25 ore, stanno a scuola per un tempo più consistente. Nonostante le attività parallele all’insegnamento siano meno che in Italia, i docenti normalmente si recano a scuola prima e ne escono dopo, perché trovano un ambiente attrezzato e accogliente, che favorisce le attività di studio e approfondimento, di relazione con i colleghi e soprattutto con i ragazzi, di riordino dei materiali.

L’ambiente didattico che ruolo ha in tutto questo? Con una sezione del sito Abitare la Scuola strutturata come una galleria fotografica, abbiamo cercato di far conoscere le scuole da Lei visitate. Le chiedo un ulteriore commento.

La scuola è una comunità di vita, come direbbe Dewey, dove l’ambiente è fondamentale.
Sono rimasto colpito da una scuola primaria dove ogni classe era attrezzata con materiali didattici, la LIM, 2 o 3 PC, uno stereo, e una cucina che serve ai ragazzi per fare piccole torte o per attività pittoriche. Aggregato all’aula c’è uno spazio più piccolo dove il docente può incontrare 2 o 3 alunni in modo separato per colloqui o attività più individualizzate. È dotato di vetrate in modo da permettere al docente di vedere contemporaneamente l’attività che si svolge in classe.
Gli arredi nelle aule sono di qualità. Si usano generalmente banchi singoli, di varie forme assemblabili. Quello che è davvero diverso sono gli spazi di raccordo, che diventano piacevoli angoli di incontro, attrezzati con tavoli, divani, con una attenzione alle relazioni fondamentale. La scuola qui è davvero un luogo di vita.

Qualche osservazione sulla valutazione dei docenti
Gli insegnanti vengono valutati da parte degli alunni attraverso questionari on-line che costituiscono motivo di studio e riflessione per il dirigente ed il suo staff. È una cosa che viene fatta con la massima serenità.
La valutazione del dirigente sui docenti ha anche un peso sullo stipendio, anche questo è vissuto in modo sereno.

Quali aspetti e quali modalità possono essere più facilmente trasferibili per favorire il cambiamento nella scuola italiana?
Quasi tutto può essere trasferibile, anche se non può essere realizzato un modello finlandese tout-court.
Ad esempio sarebbe utile studiare come favorire quella modalità per cui la scuola non inizia con la lezione, ma quando arrivano gli studenti, attrezzando davvero gli spazi di raccordo. Un altro punto è insistere molto di più sulle attività musicali e manuali, ad esempio anche di cucina.
E infine un altro aspetto fondamentale è insistere sull’autonomia – come diceva Maria Montessori. Oggi, che si parla di ‘didattica secondo compiti autentici’, è ancora più importante.
Se saremo capaci di innescare certi processi e favorire alcuni cambiamenti, tra qualche anno potremo raggiungere certi obiettivi.

 

 

 Rivista Internazionale: saggio sul sistema scuola in Finlandia
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