Educare/Le telecamere a scuola sostituiscono la fiducia col sospetto


Per educare non servono le telecamere. Un errore sostituire la fiducia con il sospetto per pochi casi estremi che vanno perseguiti quando si verificano

Avvenire – Fism -  10 maggio 2016

Sono sempre comprensibili e spesso condivise dalla scuola le  preoccupazioni dei genitori nei confronti dei figli, ma la richiesta di introdurre negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia sistemi di videosorveglianza allo scopo di prevenire comportamenti di violenza e maltrattamenti sui bambini da un lato non risolverebbe la preoccupazione, dall'altro darebbe origine ad altre questioni di non poco conto. L'istanza, che in questi giorni si fa sempre più pressante attraverso le petizioni via Web, non può non interpellare anche le 7.800 scuole dell'infanzia di ispirazione cristiana.

Garantire ai bambini condizioni di sviluppo e apprendimento qualitativamente alte è l'obiettivo che famiglia e scuola condividono nel momento in cui la prima affida i propri figli e la seconda li accoglie. La scuola, quindi, ha il compito istituzionale di educare e di formare i bambini, di garantire a tutti la possibilità di crescere e imparare: questo esige un progetto educativo, specificamente predisposto dagli educatori e dagli insegnanti, che sia l'esito di un sistematico processo di confronto, condivisione, collaborazione con le famiglie.

E questo processo nel reciproco rispetto dei diversi moli e ambiti educativi si  sviluppa necessariamente dentro un rapporto di reciproca stima e fiducia. Se questa è la realtà educativa e scolastica nel nostro Paese e certamente lo è nella stragrande maggioranza dei casi davvero ci si chiede quale spazio di cittadinanza possa avere, quale funzione di controllo possa assumere uno strumento di videoregistrazione del tutto estraneo al contesto educativo, sia sul piano sostanziale sia su quello, non meno rilevante, del messaggio che tale scelta inevitabilmente veicola nei confronti dell'opinione pubblica.

La risposta della Fism in proposito è molto precisa e chiara: la telesorveglianza non può essere mezzo e condizione per prevenire episodi di violenza e maltrattamenti nei contesti scolastici. Perché la telecamera disincentiva, quando non sostituisce, il dialogo, l'ascolto, la relazione indispensabili tra scuola e famiglia. Non c'è bisogno di questo strumento per sapere e controllare come gli insegnanti impostano e realizzano il lavoro educativo.

I genitori devono essere aiutati a imparare a partecipare alla vita della scuola, a conoscerne e a capirne l'importanza per i loro figli, non a controllarla in base a loro paure, ansie, emozioni. E la scuola deve sostenere la partecipazione, deve volerla con forza. Perché i genitori devono essere aiutati a imparare a «vedere», leggere, capire, direttamente nei/dai loro figli la presenza di eventuali problemi e non guardare la loro esperienza di vita scolastica attraverso una telecamera.

Se succede qualcosa, un bambino te lo dice e in questo dibattito sembra che i bambini non abbiano voce. E la scuola deve sostenere la voce dei bambini, deve amplificarla. Perché nessuna telecamera deve e può sostituire gli occhi per osservare i nostri figli e le persone a cui li abbiamo affidati e che si occupano di loro. Perché la telecamera offende gli insegnanti bravi i tantissimi insegnanti bravi capaci di svolgere con competenza, professionalità, passione il loro lavoro, costruendo giorno dopo giorno una relazione educativa con i bambini, nell'ambito della quale risulta inaccettabile l'interferenza di questo strumento. Perché la preoccupazione che la videosorveglianza possa dare adito a misinterpretazioni e a giudizi non corretti da parte di chi è fuori dal contesto educativo circa comportamenti, parole, atteggiamenti di chi, invece, il contesto educativo lo vive in diretta non facilita certo una buona relazione e la necessaria serenità del clima. Perché condividiamo pienamente quanto dice in proposito il Garante della privacy, Antonello Soro: «Sistemi di controllo come le webcam devono essere usati con estrema cautela perché, oltre a incidere sulla libertà di insegnamento, possono ingenerare nel minore, fin dai primi anni di vita, la percezione che sia normale essere continuamente sorvegliati, come pure condizionare la spontaneità del rapporto con gli insegnanti. La tranquillità dei genitori non può essere raggiunta a scapito del libero sviluppo dei figli.

Non possiamo, per placare le nostre ansie di adulti, trasformare la società in cui viviamo in un mondo di ipersorvegliati, a partire dai nostri bambini». Perché alla luce dei precedenti e di molti altri «perché» la telecamera nei contesti educativi sancirebbe inevitabilmente una pesante sconfitta per l'intero sistema scolastico italiano. Un sistema sostanzialmente «sano», che come tale va considerato, trattato, rispettato. 

Una cosa, infatti, è utilizzare strumenti di questo tipo a fronte delle poche, specifiche situazioni obiettivamente «patologiche», in cui sussistono fondati sospetti di reato; altra cosa è generalizzarne l'utilizzo nella normalità, sostituendoli, di fatto, alla relazione, alla reciproca fiducia tra scuola e famiglia e, in ultima istanza, alla responsabilità di tutti.  Il «Grande Fratello» in aula non elimina la preoccupazione delle famiglie, offende gli insegnanti bravi e non aiuta il bambino. Meglio coinvolgere di più i genitori nella vista scolastica.

 

 
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