Dibattito/Dirigenza scolastica: il preside manager non ci basta.


Oggi, 4 maggio2015,  il sito del sindacato ANP pubblicizza un articolo del Corriere.it (sotto riportato) che lascia perplessi, così come la pubblicità data dallo stesso sindacato, che sembra trovare in questo articolo conferma della figura di preside che ritiene perseguire.

Dunque, secondo un sondaggio del Corriere la maggioranza degli intervistati sarebbe tutta a favore del “preside manager”, come (par di capire) sarebbe stato sostenuto dalla prima versione del DdL Buona scuola, ora in verità in parte corretta.

Di questo sondaggio, dall’articolo non si trovano informazioni precise: non si conoscono le domande fatte, gli interlocutori intervistati e la dimensione della consultazione.

Nonostante questo il sindacato, che segnala alle scuole l’articolo, troverebbe conferma e sostegno alla proposta di un preside con poteri aumentati, ora un poco tradita dalle recenti modifiche del Parlamento.

Peccato che nel testo regni un poco di confusione, reperibile anche in altre notizie date dall’articolo, quali ad esempio la segnalazione che le assunzioni promesse non eliminerebbero il precariato (..sic !!) e quella che la proposta di defiscalizzazione per i frequentanti le scuole paritarie non riscuoterebbe consenso, specie negli elettori PD.

Ora la confusione non aiuta nessuno a capire di cosa si tratta e cosa sia in gioco, tanto più che lo stesso articolo segnala che la gran parte degli intervistati (72%) non conosce nulla delle proposte effettive della riforma in discussione alla Camera.

Qualche osservazione.

Se la misura di assunzione prevista dal Disegno di Legge fosse approvata, il precariato sarebbe pressoché eliminato, perché verrebbero coperti con assunzioni in ruolo tutti i posti oggi assegnati a supplenza annuale. Ma questa è un’altra storia, visto che l’andamento del dibattito in Parlamento non sembra permettere in alcun modo che queste assunzioni avvengano dal settembre prossimo. E così la scuola riprenderà nel solito caos cui siamo purtroppo abituati da anni, aggravato da nuovi e peggiori problemi.

Che la proposta di defiscalizzazione non trovi consenso a sinistra non è novità, anche se vi sono stati fatti che documenterebbero il contrario, come la difesa che il Comune di Bologna ha fatto, lo scorso anno, degli asili cattolici.  Ma agli intervistati è stato detto che si tratta di 75€  e che questi fondi cosiddetti “sottratti” alla scuola statale non cambierebbero neppure una piastrella del pavimento di un’aula statale ?

Ma quello che più preme è la questione del preside sui cui cosiddetti “poteri” stampa, media e sindacati hanno fatto gran confusione.

Di cosa si trattava nell’articolato del testo giunto alla Camera ?  Di potestà di scelta di docenti da albi regionali: ma il testo era un capolavoro di confusione (rilevata anche dall’Ufficio legale della Camera), non chiarendo come e per quali posti il preside avrebbe potuta fare una chiamata diretta, né chiarendo le modalità di questa scelta. E se l’insegnante si rifiutasse ?

Oppure si trattava di decisione del Piano Triennale per l’Offerta Formativa (organico docenti e non docenti, attrezzature, attività e formazione docenti): ma quella del preside (se fosse rimasta la versione iniziale del DdL) sarebbe stata una decisione monocratica illegittima perché il bilancio (quindi i fondi per le attrezzature e le attività) restava affidato, dalla norma, al Consiglio di Istituto.

Solo due esempi per chiarire che quando di parla di poteri nella scuola occorre aver chiaro di cosa si parla e cosa si vuole, altrimenti chi difende il cosiddetto “preside manager” rischia di pensare ad un direttore di azienda che nulla ha a che fare con la scuola.

Resta il fatto che il compito principale di un dirigente scolastico oggi nella scuola riguarda la progettazione culturale e didattica, la proposta di un’esperienza di scuola che permetta a tutti i ragazzi di raggiungere i livelli di apprendimento di cui hanno bisogno, la capacità di far crescere una comunità professionale di insegnanti che sappiano ridare motivazione ed interesse ai loro alunni. E tutto questo viene molto prima di competenze tecniche e funzioni manageriali. (rp)

 

Scuola, sì ai presidi manager. Ma il 72% non conosce la riforma

Il piano sui precari ha ampio consenso. Bocciati gli sgravi per le paritarie

Corriere.it  -  4 maggio 2015  -  di di Nando Pagnoncelli

La riforma della scuola, battezzata «la Buona scuola», sta suscitando vivaci reazioni, non diversamente dalle altre riforme proposte da governo. Una parte rilevante degli insegnanti e del personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario), infatti, ha reagito negativamente e i sindacati della scuola hanno indetto uno sciopero per martedì 5 maggio.
Quanto ne sanno e cosa pensano gli italiani di questa riforma? Non ne sanno molto, non tanto per lo scarso interesse verso la scuola che, al contrario, risulta molto elevato nella popolazione, quanto per la difficoltà a seguire con attenzione le novità introdotte e le conseguenze che ne derivano. Solo il 2% dichiara di conoscere la riforma in dettaglio (probabilmente i diretti interessati) e il 26% ne conosce i principali punti. La maggioranza assoluta (57%) sa solo che se ne sta discutendo e il 15% ignora del tutto l’argomento.

L’assunzione dei 100 mila precari già iscritti nelle graduatorie nazionali ad esaurimento o vincitori all’ultimo concorso bandito nel luglio del 2012 suscita un largo consenso: circa quattro intervistati su cinque (81%) esprime una valutazione positiva, mentre il 16% si dichiara critico. Si tratta di un provvedimento che non elimina il precariato (sono esclusi, per esempio, i precari d’istituto) ma viene comunque considerato un segnale importante sul fronte occupazionale che da tempo risulta in testa alla graduatoria delle preoccupazioni degli italiani.

La riforma prevede la concessione di un’ampia e inedita autonomia agli istituti, assegnando nuovi poteri ai dirigenti scolastici i quali avranno la responsabilità della definizione del piano triennale dell’offerta formativa (che definisce le strategie dell’azione educativa), della scelta dei docenti da assumere e dell’assegnazione dei riconoscimenti economici (gli scatti di merito) agli insegnanti giudicati migliori. Si tratta di un provvedimento che incontra il favore della maggioranza degli intervistati (56%) ma suscita critiche da parte di una importante minoranza (40%). Il dissenso prevale tra gli elettori grillini, i residenti nelle regioni centro-meridionali e gli studenti. Tra i dipendenti pubblici si registra una netta divisione: 51% i favorevoli e 49% i contrari.

Come si spiega questa contrarietà, minoritaria ma comunque rilevante, ad un provvedimento che va nella direzione della tanto auspicata autonomia scolastica? I motivi sono probabilmente da ricondurre alla preoccupazione per un eccesso di potere attribuito ai dirigenti scolastici nella definizione delle scelte pedagogiche, organizzative e gestionali (limitando i poteri degli organi collegiali) e nelle questioni riguardanti l’organico (assunzioni e bonus economici legati al merito). Forse si tratta di una generica sfiducia per gli attuali dirigenti scolastici, non ritenuti all’altezza delle nuove responsabilità.

Infine, riguardo alla possibilità per i genitori degli alunni iscritti a scuole private paritarie di usufruire di detrazioni fiscali prevale la contrarietà: il 56% esprime un giudizio negativo mentre il 42% si dichiara a favore. Le opinioni sono molto diversificare in relazione agli orientamenti politici: il dissenso prevale tra gli astensionisti, i grillini e, in misura più contenuta, tra gli elettori del Pd. Il consenso prevale tra i leghisti e tra gli elettori centristi. Gli elettori di Forza Italia si dividono a metà. Il provvedimento rimanda ad una stagione nella quale il dibattito sul finanziamento della scuola privata era molto acceso e fortemente connotato ideologicamente. Anche allora tra gli italiani prevaleva il dissenso, non solo per ragioni politiche, ma perché le private sono considerate scuole riservate ai più abbienti (che non necessitano di agevolazioni economiche) e, soprattutto, perché le risorse assegnate alle scuole private sono considerate sottratte a quelle pubbliche che, come è noto, non versano in condizioni floride. E, a questo proposito, l’aneddotica è estremamente ricca: dalle preoccupanti condizioni degli edifici scolastici all’onere dell’acquisto di materiale di pertinenza della scuola da parte delle famiglie.

Nel complesso prevale il consenso sulla riforma scolastica, ma la differenza tra favorevoli e contrari è molto risicata: 42% contro 39% e un intervistato su cinque non si esprime. Il dissenso prevale solo tra i grillini e gli astensionisti, le cui opinioni sono talora influenzate dalla sfiducia generalizzata nei confronti del governo.
In generale, ai giudizi positivi sulla stabilizzazione di una larga parte dei precari e sulla aumentata autonomia scolastica (pur con le riserve di cui si è detto), fa da contraltare la contrarietà rispetto alle detrazioni fiscali per gli iscritti alle private. Quest’ultimo è un tema sensibile che attenua il favore nei confronti della «Buona scuola».

 

 
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